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L'editoriale di TerzaRepubblica

Il 2025 sarà decisivo

CARO BABBO NATALE, PORTACI LA CONSAPEVOLEZZA  DEI RISCHI CHE CORRIAMO MA SOPRATTUTTO IL RISVEGLIO DELLE COSCIENZE OCCIDENTALI

 

di Enrico Cisnetto - 20 dicembre 2024





Il miglior modo che abbiamo per accompagnare il 2024 bisesto, e quindi funesto per antonomasia, al suo epilogo e consegnarlo alla storia – che non lo celebrerà – è quello di guardare al 2025 con la piena consapevolezza, che fin qui è mancata, di quanto sia decisiva per il nostro avvenire la partita su scala planetaria che ci toccherà giocare, ci piaccia o no, nell’anno che sta per iniziare. In palio c’è la nostra stessa sopravvivenza di cittadini – fortunati senza esserne coscienti fino in fondo – che appartengono alla società occidentale, democratica e liberale, contro cui le autocrazie hanno scatenato una guerra con l’obiettivo di stravolgere l’ordine internazionale. Una questione che sarà centrale e cruciale nel mondo nel 2025 ma anche, temo, per gli anni a venire.

Tutto ha inizio, se vogliamo stare alla storia più recente, con l’invasione dell’Ucraina del febbraio 2022 – sono già passati quasi 3 anni – provocata dalla Russia di Putin non solo con l’obiettivo di conquistare Kiev, ma più in generale di riconquistare, al servizio del disegno imperialista di ricostruzione dell’Unione Sovietica, quei 14 milioni di russofoni che sono rimasti fuori dai confini della Federazione Russa. Ma questo è solo l’intento minimo. Il fine massimo era, e resta, quello di scatenare – in asse con Iran, Cina e Corea del Nord, e la benevolenza di tanti altri paesi – una guerra ibrida (la definizione è nel bel libro di Maurizio Molinari “La nuova guerra contro le democrazie” edito da Rizzoli, di cui abbiamo parlato nella mia ultima War Room dell’anno, qui il link) tesa a scardinare gli assetti geopolitici planetari. Minando gli equilibri usciti dalla guerra fredda per sostituirli con un nuovo “sistema multipolare”. Cui può arrivare non aggredendo militarmente l’Occidente, cosa che non è alla sua portata, ma indebolendolo, esaltando le sue divisioni e lacerazioni interne e sfruttando la sua folle tendenza all’autoflegellazione.

Tanto è vero che, come corollari dell’aggressione militare, il Cremlino si è lanciato in un conflitto cibernetico e ne ha generato uno energetico, nel tentativo di indebolire le democrazie occidentali alimentando il malcontento popolare, da un lato usando la leva della disinformazione scientificamente organizzata, dall’altro facendo schizzare l’inflazione e il costo della vita. In parallelo, la strategia di Putin è stata quella di conquistare una presenza in Africa e nel Mediterraneo che neppure l’Urss era riuscita ad avere. Come? Per esempio, creando un “fronte del Sahel” fomentando le tribù del Ciad, del Burkina Faso, del Mali in chiave anticoloniale contro francesi e americani; favorendo colpi di Stato filorussi con i mercenari degli Africa Korps (ex Brigata Wagner); costringendo gli Usa a smantellare una base di droni in Niger; costruendo Port Sudan, un’infrastruttura navale di grandi proporzioni sul Mar Rosso. E così via. 

Poi c’è il Medio Oriente, dove dall’intervento nel 2015 in Siria a favore di Assad, la Russia si è insediata cementando un patto scellerato con l’Iran, che quantomeno è servito a distrarre risorse americane dalla difesa dell’Europa. Con gli ayatollah di Teheran, Putin ha condiviso il tentativo di minare gli accordi di Abramo promossi da Washington tra Israele e gli stati arabi sunniti. Non sappiamo se fosse stato preventivamente avvertito della strage del 7 ottobre 2023 perpetrata da Hamas, ma subito dopo non ha esitato un attimo a buttare a mare il rapporto privilegiato con Netanyahu schierandosi apertamente a favore dei fondamentalisti palestinesi con la scusa di condannare la reazione di Israele. E così con gli Houti in Yemen ed Hezbollah in Libano. Inoltre, organizza uno scambio strategico con Teheran: riceve droni che usa per colpire Kiev e manda tecnologia per il puntamento dei missili.

Per adesso la risposta di Tel Aviv, per quanto carica di conseguenze tragiche, è stata vincente e l’asse del male si è indebolito, come dimostra la caduta del regime di Assad in Siria. Tuttavia, proprio quanto accade a Damasco ci deve indurre alla prudenza. Da un lato, infatti, non si può che compiacersi della fine di una dittatura sanguinaria che ha sulla coscienza oltre mezzo milione di morti ed essere sollevati dal fatto che Putin ha perso un alleato in una zona strategica del Medio Oriente e subito una cocente umiliazione. Ma, dall’altro, sorgono molte domande. Siamo proprio sicuri che Damasco in mano ai ribelli jihadisti della milizia Hts rappresenti una svolta? Il loro capo, Abu Mohammed Al-Jolani, descritto oggi come moderato, pragmatico e persino aperto a larvate forme di democrazia, non è forse uno che militava con i tagliagole dell’Isis? Il sostegno decisivo che gli ha dato Erdogan è davvero più rassicurante, o meno preoccupante, di quello che Assad riceveva da Putin? È esagerato temere che in Siria si riproponga il radicalismo islamico che ha ridotto l’Afghanistan nelle condizioni desolanti in cui l’Occidente l’ha lasciato cadere? E visto che ora c’è da gestire un paese in ginocchio, diviso tra mille etnie, milizie, gruppi e interessi, chi evita, e come, che in Siria accada quella balcanizzazione del paese che si è prodotta in Libia dopo la caduta di Gheddafi? E se a Damasco ha vinto la Turchia, i democratici curdi, con le loro donne combattenti che fronteggiano l’Isis, che fine fanno visto che Erdogan li considera il nemico da sterminare? E noi, ci giriamo dall’altra parte?

Soprattutto, va monitorato – specie da parte dell’Italia – il trasferimento delle basi militari russe dalla Siria alla Libia, e in particolare gli equipaggiamenti di difesa aerea nella Cirenaica controllata dall’Esercito nazionale libico di Khalifa Haftar, da sempre sostenuto dal Cremlino, e le strutture navali a Bengasi e Tobruk, meno di 400 miglia dalle coste siciliane. La Russia è in Libia da tempo, specie con la Wagner, il gruppo paramilitare che ha utilizzato le strutture di Haftar come hub di transito verso altri paesi africani. Ma se Putin rafforza la presenza in un territorio che dalla caduta di Gheddafi è sprofondato una guerra civile che vede contrapposte molte fazioni alla mercè di potenze straniere, e magari lo fa in una logica spartitoria con Erdogan in base allo schema “Libia alla Russia, Siria alla Turchia”, c’è davvero da preoccuparsi. E da tenerne conto, quando ci si siederà – presto, visto che Zelensky sembra aver già preso atto delle intenzioni di Trump – al tavolo delle trattative per mettere fine al conflitto russo-ucraino. Intendo dire che a quel tavolo, che volutamente non definisco “di pace” perché la vera pace necessità di presupposti che non credo siano nella disponibilità di Putin, se si deciderà la fine che farà l’Ucraina senza tener conto degli interessi e dei disegni più vasti dell’autocrate del Cremlino, da parte occidentale si commetterà un errore esiziale. La logica neoimperialista di Putin prevede infatti una sorta di nuova Yalta in cui sia lui a dare le carte al tavolo di un grande patto che ridisegni l’ordine mondiale su basi più sfavorevoli all’Occidente di quelle fissate nella conferenza delle grandi potenze vincitrici della Seconda Guerra mondiale che si svolse in Crimea nel febbraio del 1945, da cui scaturì la “Guerra Fredda” e la divisione dell’Europa in blocchi contrapposti.

Secondo Molinari, e io sono d’accordo con lui, Putin ha in mente due cose: obbligare gli Stati Uniti a tornare ad occuparsi sostanzialmente solo del Nord America, e “finlandizzare” l’intera Europa, trasformandola in una sorta di grande cuscinetto tra Usa e Russia. Per riuscirci lavora da anni, prima ancora dell’invasione dell’Ucraina, ad un piano di continue e molteplici interferenze in Europa occidentale, finalizzate a creare scompiglio politico e sociale che indebolisca le democrazie dall’interno. In Italia, per esempio, ha potuto contare sui due governi Conte – do you remember la “operazione virus” del marzo 2020 realizzata a Bergamo allo scoppio del Covid? – e tuttora ha nei 5stelle e nella Lega di Salvini riferimenti importanti. In Francia il governo Barnier cade per l’intesa tra l’estrema sinistra di Mélenchon e l’estrema destra di Le Pen, due fronti opposti ma che hanno in comune una malcelata sintonia con Mosca. In Germania non è casuale che i neonazisti di Afd, protagonisti di una impetuosa crescita di consenso che è costata molto denaro, abbiano Putin come modello ideale di leadership. Aggiungeteci l’Ungheria di Orban, esplicitamente al servizio di Zar Vlad, e la Romania, la cui Corte Suprema ha dovuto annullare il risultato delle presidenziali per manifesta interferenza elettorale esercitata dai russi attraverso social e influencer, e avrete il quadro (preoccupante) della penetrazione di Mosca in Europa. Il tutto nella disattenzione delle opinioni pubbliche e nell’ignavia delle classi dirigenti e delle leadership politiche, che stanno decisamente sottovalutando i rischi che noi tutti già stiamo correndo e quelli ulteriori che potremo presto correre.

Ma se il maggior svantaggio di cui soffrono le democrazie è la carenza di consapevolezza unita alla stupida invidia per la risolutezza decisionale delle moderne autocrazie (senza tener conto del prezzo che si paga in termini di libertà) – binomio che rende possibile attuare quella che il Capo di stato maggiore delle Forze armate russe, Valerij Vasil'evič Gerasimov, chiama la “strategia dello scompiglio” – questo non significa che l’instabilità che ne deriva abbia già consegnato l’Occidente liberale alla sconfitta. Come ha scritto Bill Emmott recentemente, alle democrazie occidentali non mancano i punti di forza così come all’asse Russia-Cina-Iran-Corea del Nord non mancano quelli di debolezza. E dunque bisogna evitare che l’altra faccia della medaglia della sottovalutazione dei rischi sia l’autoflagellazione. Per evitare l’uno e l’altro eccesso, però, occorre cogliere le opportunità. Che sono tante, ma per brevità ne cito qui solo due.

La prima e maggiore si chiama adeguamento dell’Europa alla realtà. Che si ottiene adattando la sua governance e adottando il piano Draghi per la competitività e lo sviluppo. Cogliendo l’occasione della negoziazione per la fine del conflitto russo-ucraino per recitare un ruolo non più comodamente subalterno nella Nato e per dotarsi di una struttura comune di difesa e sicurezza affrontando con debito comunitario i relativi investimenti, assumendo senza paura di apparire militaristi la necessaria mentalità di guerra che la minaccia di Putin richiede. La seconda opportunità che l’Occidente ha di fronte è data dal desiderio di tutte le aree del mondo “non allineate” di non subire la supremazia russa e cinese. Occorre favorire con intelligenza, pazienza e disponibilità il disallineamento dell’Africa e dell’America Latina, dell’India e dei paesi del Golfo in Medio Oriente. In questo senso l’accordo europeo con il Mercosur è un’ottima cosa, che va al di là del suo valore economico-commerciale, ed è un peccato che per miopia e questioncelle di bottega l’Italia si sia sottratta. Per fare tutto questo abbiamo una finestra temporale assai stretta, delimitata da un lato dall’insediamento di Trump alla Casa Bianca (già il 20 gennaio, il Natale non ce lo faccia dimenticare) e dall’altro dal veloce evolversi delle due guerre – a nord quella in Ucraina, a sud quella multipla in Medio Oriente – che stringono il Vecchio Continente in una morsa. Il 2025, dunque, sarà un anno decisivo, carico di responsabilità ma anche di speranza. Un anno di svolta. Che sarà una svolta buona se per prima cosa capiremo che contemplare la nostra fragilità – rappresentata dall’oblio verso i valori della democrazia liberale, dall’antisemitismo dilagante senza più freni e inibizioni, dall’emergere di minoranze rumorose votate alla causa anti-occidentale, di correnti di opinione filo-putiniane, di sovranismi ottusi e di neofascismi pericolosi – è il miglior assist che possiamo regalare alle potenze autoritarie. Ecco, cari amici di TerzaRepubblica, il proponimento per il 2025: farsi parte attiva, in ogni luogo e circostanza, per illuminare le coscienze, a cominciare da quella di ciascuno di noi. Parola d’ordine: vietato essere agnostici e pusillanimi.

È con questo augurio, unito a quello di trascorrere in serenità le imminenti festività, che vi saluto e vi do appuntamento a sabato 11 gennaio 2025. Buon Natale e buon Anno a tutti!!

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.