Parigi e noi
LA CRISI FRANCESE C’È MA NON È QUELLA RACCONTATA PER ACCREDITARE UN FALSO MIRACOLO ITALIANO
di Enrico Cisnetto - 14 dicembre 2024
Può darsi che la stagione di Emmanuel Macron stia volgendo al termine, ed è possibile, magari probabile, che nel 2027 si concluderà non solo il mandato presidenziale – che è istituzionalmente corretto compia fino in fondo – ma anche la sua carriera politica. In molti lo danno già per (politicamente) morto, e la stragrande maggioranza di chi lo fa se ne compiace. Io non sono tra questi. Non che mi sfuggano i limiti dell’uomo, con quel suo narcisismo esasperato, ma non credo affatto che l’esperienza politica che ha incarnato e incarna sia da buttare, né che si sia esaurita. Forse mi fa velo l’essere stato tra i pochi, dopo le elezioni europee, a non considerare tale quello che è stato spregiativamente definito “l’azzardo di Macron”, e cioè aver deciso di sciogliere l’Assemblea Nazionale, portando la Francia alle elezioni anticipate. Ma ancora oggi, col senno di poi, credo abbia fatto bene: con quella “mossa del cavallo” l’inquilino dell’Eliseo ha sconfitto il lepenismo filo-putiniano fermando così “l’onda nera” che rischiava di travolgere anche l’Europa. Viceversa, se non l’avesse fatto si sarebbe esposto all’accusa di insensibilità verso l’esito delle europee, ponendo le basi per una vittoria della destra alle presidenziali del 2027.
E spero che ai francesi siano chiare due cose che a molti osservatori italiani sfuggono. Intanto, che la caduta del governo Barnier – nato perché né Marion Anne Perrine Le Pen, in arte Marine Le Pen, né il leader di France Insoumise, Jean-Luc Mélenchon, avevano vinto le elezioni – è avvenuta per il voto di sfiducia congiunto della destra e della sinistra, il primo dal 1962. Una scelta che destra e sinistra hanno fatto in odio a Macron: avendo in comune il radicalismo, il sovranismo e la simpatia verso Putin, non si sono fatte scrupolo di unire i loro opposti estremismi, costituendo un vero e proprio fronte anti-repubblicano, pur essendo chiaro che il governo si stava accingendo a fare scelte coraggiose (o probabilmente proprio per questo), indispensabili per fronteggiare la crisi economica e contenere deficit e debito sempre più all’italiana che, solo la doppia irresponsabilità del populismo lepenista style Salvini e del massimalismo mélenchoniano style Landini potevano combattere. L’altra cosa che va ben compresa è questa: a suo tempo la scelta del moderato Barnier si era resa necessaria per l’inspiegabile mancanza di disponibilità al dialogo dei socialisti e degli ecologisti, intruppati dentro il Nouveau Front Populaire e quindi asserviti allo sterile arroccamento di Mélenchon. Atteggiamento che ora sembra essere cambiato nei confronti di François Bayrou, che Macron ha indicato come nuovo primo ministro. Le forze riformiste paiono finalmente aver preso atto della postura anti-sistema di Rassemblement National e France Insoumise, a tutto danno del Paese, e se oggi siamo alla vigilia della nascita di un governo di centro sostenuto, direttamente e indirettamente, dalle forze democratiche e repubblicane, moderate e riformiste, e quindi con l’esclusione dei due partiti estremi, di questo va dato merito a Macron e alla sua lucida strategia di logoramento degli opposti ma convergenti radicalismi. Certo, anche il governo Bayrou nasce fragile, destinato com’è a durare fino all’estate (per le regole le regole costituzionali non si può sciogliere il parlamento prima di un anno dalle ultime elezioni, che furono a luglio 2024) per poi con tutta probabilità andare alle urne a settembre. Si vedrà allora con il ritorno alle urne, e poi con le presidenziali nel 2027, che sbocco avrà la lunga crisi transalpina. Evitare di trarre conclusioni affrettate, sarebbe dunque saggio.
Quello che invece fa ridere, non perché sia divertente ma come alternativa alla pena, è il tentativo di usare la crisi francese per celebrare la (presunta) stabilità che l’Italia avrebbe (ri)conquistato con le elezioni del 25 settembre 2022. Per esempio, c’è chi paragona l’impasse transalpino alla fase dell’ascesa grillina (non verso una lacrima per il comico che è stato forzatamente pensionato) con i due opposti governi del trasformista Conte, prima con la Lega e poi con il Pd, per concludere che la lezione da trarne sia di non mettere mai in dubbio l’esito elettorale con operazioni politiche “spericolate” (intendendo definire con ciò tutto quello che sta fuori dallo schema bipolare, a cominciare dai governi tecnici). Della serie: noi di quelle scorie ci siamo liberati, loro (i francesi) ne sono intossicati. Peccato che tanto la sinistra quanto la destra francese le elezioni frutto dello scioglimento del Parlamento attuato da Macron non le abbiano vinte, e di conseguenza non dispongano di una maggioranza per governare. E c’è chi, come Giuliano Ferrara, si spinge ancora più in là per esaltare la superiorità del proporzionalismo e del parlamentarismo, lui che è stato presidenzialista con Craxi e alfiere del bipolarismo sotto le bandiere berlusconiane, per declamare le disillusioni che il brillante ma inconcludente presidente transalpino avrebbe prodotto e sostenere che il sistema francese ha più difetti che pregi. Benvenuto tra noi, caro Giuliano, anche se avrei preferito che questa tua conversione fosse avvalorata da una sincera autocritica, della quale non si vede neppure l’ombra.
Ma se dietro c’è il tentativo di cui si è palesemente fatto carico il giornale che hai fondato, di attribuire all’Italia la patente di paese normale conquistata grazie ai due anni di governo Meloni e per differenza con Francia e Germania in crisi, allora i conti non tornano. Intanto, perché c’è stabilità e stabilità: quella fine a se stessa, che consente di galleggiare (per usare una definizione che il Censis ha giustamente attribuito alla società italiana nel suo insieme) e non produce scelte strutturali ma solo gestione dell’agenda quotidiana, è pura parvenza; mentre quella decidente è cosa buona, ma purtroppo l’Italia non ne dispone da oltre tre decenni, se si somma l’ultima fallimentare fase della Prima Repubblica e il disastro della Seconda e i suoi peggiorativi prolungamenti. No, signori del Foglio, il nostro non è improvvisamente diventato un paese normale solo perché a Parigi e a Berlino cadono i governi e a Madrid si va avanti senza maggioranza. E tantomeno perché prevalgono le forze europeiste rispetto a quelle sovraniste, cosa non vera sia perché tanto la maggioranza quanto l’opposizione sono fortemente condizionate al loro interno dalle componenti euroscettiche quando non vergognosamente filo-putiniane, sia perché se il tasso di europeismo del governo e della forza in esso predominante si misura con la tardiva votazione della Commissione Von der Leyen (solo per far passare Fitto), la mancata approvazione del Mes e le distinzioni sull’Ucraina (in sintonia con il Pd) e sul Mercosur (per compiacere Coldiretti), stiamo freschi.
Quanto alle leadership, nessun italiano di buon senso credo sarebbe disposto a barattare le nostre con quelle degli altri paesi europei, ma non perché quelle italiane siano migliori, bensì perché si equivalgono (nella mediocrità) e il gioco non varrebbe la candela. Esito diverso, invece, ritengo dia la comparazione dei sistemi politici e istituzionali: io non avrei dubbi, cederei volentieri a francesi e tedeschi i nostri in cambio dei loro. Perché non c’è dubbio che Francia e Germania stiano attraversando un momento di difficoltà, ma ciononostante considero quei sistemi strutturalmente più solidi ed efficienti.
I tedeschi hanno visto andare in fumo il loro modello di sviluppo, basato sull’acquisto di energia a basso prezzo dalla Russia e sulle esportazioni verso la Cina, e quindi non attraversano una crisi solo congiunturale. Ma rimane un’economia decisamente più forte e strutturata della nostra, cui corrisponde un sistema istituzionale equilibrato e consolidato e un sistema politico imperniato, almeno fin qui, su forze moderate e riformiste che competono cercando la vittoria al centro. E quando nel passato nessuna ha prevalso hanno dato vita ad una grande coalizione che è durata anni. Certo, ultimamente le difficoltà hanno generato un po’ di malcontento che a sua volta ha prodotto l’affermazione dell’estrema destra di Afd. Ma il sistema non si è radicalizzato, e tiene, tanto che le elezioni anticipate (fatto raro) convocate per febbraio prossimo dopo la caduta del governo guidato dal socialdemocratico Scholz, si prevede mettano in condizioni i cristianodemocratici di Cdu-Csu di formare una coalizione a guida loro. Pensate sia meglio il nostro bipolarismo radicalizzato sulle estreme e dal 2018 diventato bipopulismo dopo l’affermazione dei 5stelle e i due governi Conte? Io dico di no, assolutamente.
Il semi-presidenzialismo francese l’ho sempre apprezzato meno del cancellierato tedesco, e quindi giudicato meno copiabile, non fosse altro perché l’ho considerato, e lo considero, più distante dai nostri cromosomi politici. Tuttavia, ho sempre detto e ripetuto che in subordine al sistema tedesco lo accetterei senza riserve – purché completo di tutte le regole della Quinta Repubblica transalpina vigente dal 1958 – piuttosto che doverci tenere l’obbrobrio italico che ha preso vita dal referendum Segni in poi. E lo confermo anche oggi, di fronte alla crisi provocata dalle forze anti-sistema, opposte e ciononostante unite nel tentativo di sbarazzarsi delle forze centriste che negli ultimi anni sono state l’antidoto alla radicalizzazione del sistema. D’altra parte, l’azzardo di Macron era stato proprio quello di andare a verificare se davvero i cittadini francesi intendessero aprire la porta di palazzo Matignon, sede del Governo, all’estrema destra. Il no è stato netto, così come nel corso degli anni all’estrema destra è stata ripetutamente sbarrata la porta dell’Eliseo. E Macron ha vinto la sua scommessa. Perché ora, di fronte al Papeete transalpino che ha fatto cadere Barnier, dovremmo convincerci che il sistema politico che vede il duo Meloni-Salvini (per carità di patria salvo Tajani) al governo e il trio Schlein-Conte-Bonelli&Fratoianni all’opposizione sia meglio?
Certo che, come italiano che considera l’Europa unita l’unico strumento che abbiamo a disposizione per la nostra sopravvivenza – e uso questo termine non a caso, visto il contesto geopolitico in cui siamo immersi, ma di questo vi parlerò la prossima settimana in quella che sarà l’ultima TerzaRepubblica prima della pausa natalizia – sono fortemente preoccupato nel vedere come a Parigi e Berlino spirino venti di crisi capaci di spezzare l’asse franco-tedesco, fin qui vero architrave comunitario. Ma non per questo mi faccio abbindolare da chi dice “tranquilli, ora ci pensa Roma”. Magari fosse, ma non è così. E guai a crederci, perché è il modo migliore per continuare a non riformare il nostro sistema malato.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.