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L'editoriale di TerzaRepubblica

Consigli per il voto

L’EUROPA È DI FRONTE A SCELTE EPOCALI E L’ITALIA DEVE EVITARE LA DERIVA ECCO TUTTE LE RISPOSTE AL DILEMMA DELLA SCELTA ELETTORALE

di Enrico Cisnetto - 07 giugno 2024

Ci siamo. Dopo una campagna elettorale insopportabilmente tanto lunga quanto vuota, tutta giocata sul solito insulso copione dello scontro ideologico per cui la destra è fascista e la sinistra comunista, finalmente si va alle urne. È un voto per l’Europa, anche se di Europa non si è affatto parlato, salvo per dire che la si vorrebbe diversa senza spiegare perché e soprattutto come cambiarla. Dimentica di quanto di Europa già c’è, non poco, e ignara di quanto e cosa manchi per completare l’integrazione, la politica italiana ci ha offerto solo slogan aggressivi, posizioni estremizzate, temi semplificati, e mostrando un’ansia da prestazione elettorale che è spia di sorprese che probabilmente usciranno dalle urne, si è persino concessa il rischio di una crisi istituzionale con sguaiato attacco al Presidente della Repubblica cui è poi stata messa una toppa peggiore del buco. Forzature che, oltre a consolidare sul piano internazionale l’idea che siamo un paese inaffidabile, finiranno per indurre ancora più italiani dei già tanti (troppi) che non vanno a votare, a restare a casa.

Mentre è opportuno che si abbia bene a mente che questa volta come non mai siamo di fronte alle più importanti elezioni della storia europea, non fosse altro per il contesto internazionale in cui questa consultazione si svolge. L’Europa, infatti, è in una condizione di “pre guerra”, schiacciata com’è a nord-nordest dal conflitto scatenato dalla Russia contro l’Ucraina, base di partenza per un progetto di destabilizzazione del Vecchio Continente cui fa da pendant, a sud, il non meno pericoloso scontro in atto contro Israele, innescato dall’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre scorso e proseguito con la reazione di Tel Aviv nella striscia di Gaza ma soprattutto per via dei molteplici fronti aperti dalle varie forze organizzate e finanziate dall’Iran. Europa, per di più, su cui pesa l’incertezza dell’esito delle elezioni americane di novembre, decisive per determinare gli assetti prossimi del mondo. In gioco, dunque, non c’è come nel passato la scelta tra continuità e discontinuità politica in un contesto tutto sommato stabile e determinato, ma quella ben più ardua di come affrontare uno scenario che non ha precedenti dal 1945 ad oggi.

Detto questo, è pur vero che il responso popolare del 9 giugno è destinato a produrre conseguenze decisive anche sui nostri equilibri politici nazionali. Sia perché si deciderà il ruolo dell’Italia nel contesto continentale – nel quale oggi è isolata, a dispetto della politica dei sorrisi – scegliendo tra l’atrofizzazione, che il nazionalismo sovranista comporta, e il tentativo di aprire una nuova stagione puntando sulla piena integrazione nel contesto europeo. E sia perché le elezioni rappresenteranno una sorta di tagliando per il governo Meloni, che a 20 mesi dalla nascita e avendo percorso solo un terzo della legislatura è stato (pericolosamente) sottoposto da chi lo guida allo stress test del plebiscito “pro Giorgia”. Tuttavia, sarebbe un grave errore se gli elettori si facessero influenzare dalla campagna elettorale e compissero le loro scelte guardando solo ed esclusivamente alle questioni nazionali. Cioè, per capirci, senza sapere o non tenendo in debito conto della collocazione dei partiti italiani nelle diverse famiglie politiche europee e, di conseguenza, senza porsi la domanda se la loro preferenza potrà favorire il fatto che l’Italia risulti sintonica con gli altri paesi, specie quelli più grandi e fondatori della Ue, o se, al contrario, potrebbe decretarne un definitivo, letale isolamento.

E qui siamo all’ineludibile domanda sul “che fare”, sabato e domenica. Sono tantissimi quelli che in questi ultimi giorni mi hanno posto questo benedetto quesito, manifestando non solo incertezza ma anche un vero e proprio senso di smarrimento. A testimonianza che alla vigilia del voto c’è ancora un numero straordinariamente alto di cittadini che brancolano nel buio. Non spetta a TerzaRepubblica dare una specifica indicazione di voto. Ma fare qualche valutazione che aiuti a compiere una scelta consapevole, questo sì, fa parte del nostro dna.

Partiamo da un paio di presupposti, forse scontati ma che è bene ribadire.  Il primo riguarda l’Europa: chi ci legge e ci conosce sa che di fronte al trilemma “più Europa”, “meno o niente Europa” e “tanta Europa quanta già ce n’è”, noi siamo senza incertezze per la prima delle tre opzioni. Anzi, per essere precisi, siamo a favore della realizzazione degli Stati Uniti d’Europa. E dunque, siamo per tutte quelle forme di progressiva integrazione politica, economica e istituzionale che portino all’obiettivo di una governance continentale sul modello United States of America. Il secondo attiene all’Italia: è giunta l’ora di dire addio una volta per tutte ad un sistema politico basato su una contrapposizione tutta giocata in chiave ideologica, guardando al passato, e che costringe ad alleanze forzate che finiscono per impedire alle maggioranze di governare e alle opposizioni di fare seriamente il loro lavoro. E siccome queste differenze interne al centro-destra e al centro-sinistra si riflettono nelle diverse e persino opposte collocazioni in sede europea, il “comandamento” che mi sento esprimere per il voto di sabato e domenica è il seguente: scegliete sulla base delle dislocazioni europee e non nazionali dei partiti, siate consapevoli di dove finiranno, a Strasburgo e non a Roma, gli europarlamentari che contribuirete ad eleggere. Usando questo criterio, non vi sarà difficile scartare dal novero delle possibilità di voto non solo le forze anti-europeiste, a-europeiste o non pienamente europeiste – sono quelle che sostengono la sovranità italiana debba prevalere rispetto a quella europea – ma anche quelle solo fintamente europeiste (cambiare idea è sintomo d’intelligenza, a patto però che il processo sia limpido e solare, e non affidato a slogan) e quelle che pur essendo sempre state dalla parte dell’Europa ora si sono affidate a leadership sconclusionate che hanno messo in lista candidati cui sembra stia più a cuore Putin che Bruxelles. Come ha notato Massimo Franco, “il populismo, sia nella versione di destra che in quella grillina e di sinistra, usa l’Ue quando fa comodo, ma la rigetta appena serve alla polemica”.

Lo so, con questa scrematura resta davvero poco. Ma, d’altra parte, quello che noi di TerzaRepubblica abbiamo definito “il partito che non c’è”, fatto per i tanti italiani “non allineati”, spesso “astensionisti consapevoli”, che non vogliono abbandonarsi alla logica del “tanto peggio, tanto meglio”, che non si illudono di fronte alle facili soluzioni, alle narrazioni da social, alle semplificazioni mediatiche, appunto non c’è. Manca una forza liberaldemocratica, riformatrice, europeista, centrale nella geografia politica, non perché centrista, ma perché capace, collocandosi al centro dello scacchiere politico, di scompaginarlo, imponendo nuove regole e nuove istituzioni. Sulla scheda non la troveremo. Forse avrebbero potuto costruirla Calenda e Renzi, se il loro stupido egocentrismo non glielo avesse impedito. E comunque non so se l’esperimento sarebbe riuscito, visto il loro tasso di individualismo. E dunque? Di fronte a questa amara constatazione, non resta che individuare il male minore, partendo dal presupposto che se la piattaforma politica che appare del tutto inadeguata è quella sovranista, anche quella degli “europeisti mosci”, che per paura di perdere consenso si limitano ad una generica riaffermazione della loro inclinazione europeista, non è la risposta giusta. Perché in questo momento storico l’Europa non è un ideale traguardo da raggiungere in un tempo remoto, ma una cogente necessità di fronte ai cambiamenti epocali in atto.

Restano, allora, due possibilità. La prima è scegliere tra Calenda e Renzi, la seconda è votare Forza Italia. Proviamo a ragionarne, ma dopo aver attentamente valutato su cosa saranno chiamati a decidere coloro che voteremo.

Per esempio, ci sarà da decidere non solo se continuare o meno a sostenere l’Ucraina, ma se farlo consentendole anche di colpire le basi in territorio russo da cui partono gli attacchi – unico modo per non soccombere da parte di Kiev – e persino se farlo fornendo anche uomini oltre che mezzi militari e risorse finanziarie. Di conseguenza, ci sarà da decidere se e come rinforzare la Nato – può sembrare un’ovvietà, ma ci sono candidati del Pd che ne pretendono la chiusura e Salvini che non più tardi di due settimane fa ha chiesto la testa del segretario generale Stoltenberg – considerato che un ritorno alla Casa Bianca di Trump potrebbe costringere l’Ue a dover scegliere se gestire l’Alleanza Atlantica da sola o farne a meno. Con ciò mettendo Bruxelles e gli Stati europei di fronte alla scelta su se e come trovare una linea di politica estera comune, se e come costituire una forza militare comunitaria, se e come integrare le diverse aziende della difesa.

E poi sul tavolo ci saranno le grandi questioni economico-sociali. Partendo da energia e ambiente: il Green-deal, da perseguire ma con più pragmatismo e meno forzature ideologiche; il portafoglio energetico integrato da creare, attraverso una Maastricht dell’energia, con un mix di fonti il cui equilibrio va realizzato in sede europea e non nazionale, che garantisca sicurezza e autonomia negli approvvigionamenti. E quindi i grandi obiettivi strategici, per i quali basta dare una scorsa alla relazione del governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta – a proposito, bisognava aspettare lui, il 31 maggio, per parlare almeno un giorno di Europa, in questa stramaledetta campagna che non farà altro che indurre i cittadini a stare a casa? – per trovarsi l’agenda già bella e fatta: riequilibrare il modello di crescita seguito nei due decenni passati, riducendo l’eccessiva dipendenza dalla domanda estera; ampliare e valorizzare il mercato unico, rafforzandone l’integrazione in settori strategici quali telecomunicazioni, energia e finanza; rimuovere gli ostacoli alle potenzialità di un mercato interno paragonabile a quello degli Stati Uniti, anche al fine di aumentare la concorrenza e la capacità di innovare; spingere sulle tecnologie avanzate, nella cui produzione l’Europa sconta una limitata specializzazione, quali la robotica, le infrastrutture digitali di comunicazione, l’esplorazione spaziale, le biotecnologie e, soprattutto, l’intelligenza artificiale. E ancora: realizzare iniziative e politiche comuni nel campo dell’immigrazione e della formazione, completare l’assetto dell’Unione bancaria, perseguire un mercato dei capitali integrato. Ma tutte queste forme di integrazione richiedono un bilancio europeo, per definire l’orientamento fiscale complessivo non più come la somma delle politiche nazionali, ma in base alle esigenze dell’economia dell’area; cosa che permetterebbe di affrontare efficacemente shock comuni forti e prolungati, quali la pandemia o la crisi energetica, favorendo la coerenza tra politica di bilancio e politica monetaria. E la recente riforma del patto di stabilità, pur necessaria, non è sufficiente.

Insomma, decisioni da far tremare le vene ai polsi agli statisti, figuriamoci alle mezze calzette di cui è popolata la politica di questi tempi. Ma proprio per questo occorre avere la consapevolezza che l’unica risposta positiva a questioni così difficili potrà venire solo da una maggioranza che abbia come baricentro un rinnovato compromesso tra Socialisti e Popolari, con il sostegno dei Liberali e (forse) dei Verdi. Le altre opzioni, o sono velleitarie e impraticabili o sono pericolose. In questo quadro la scelta di +Europa, la formazione di Emma Bonino, che si presenta insieme con Italia Viva di Renzi e altre forze minori tutte sotto il simbolo che richiama gli Stati Uniti d’Europa, può apparire la scelta più coerente. Ma votarla presenta lo stesso rischio che si corre scegliendo la lista “Azione con Calenda” (ma non era meglio chiamarlo Partito d’Azione, tralasciando questo orribile personalismo?), e cioè il superamento della soglia di sbarramento del 4%, sotto la quale non c’è rappresentanza. È quello che con un termine sgradevole si chiama “voto utile”: chi sceglie Renzi-Bonino o Calenda potrebbe sentirsi maggiormente appagato, e garantito dal fatto che fanno capo a Renew Europe, il gruppo liberaldemocratico capeggiato da Macron (che riunisce Renaissance, Partito democratico europeo e Alde), ma rischia di buttare via il voto. Naturalmente vale anche il ragionamento opposto: diamo il voto a queste due liste proprio per aiutarle a superare lo sbarramento. E a chi mi chiede quale delle due ha più possibilità di stare sopra il 4%, rispondo che la mia percezione (che tale è e tale rimane) è che una chance in più ce l’abbia il duo Renzi-Bonino, ma anche in questo caso può avere senso andare sul più debole per aiutarlo.

Chi invece vuole essere sicuro che il proprio voto sia “utile” può optare per Forza Italia. Qui, naturalmente, subentra una valutazione politica più complicata, specie per quell’elettore moderato che ha sempre fatto fatica a riconoscersi nella leadership di Berlusconi e che non gradisce il fatto che il centro-destra sia diventato destra-centro. Sulla rinnovata vitalità di Forza Italia, che paradossalmente ha guadagnato dal venir meno della dialettica berlusconismo-antiberlusconismo, ho scritto su TerzaRepubblica lo scorso 3 febbraio (questo il link http://www.terzarepubblica.it/newsletter/20240203-newsletter-n4/) e a quel testo vi rimando. Ma qui vale il fatto che faccia parte del Ppe. In questa fase è un elemento chiave, decisivo. In più c’è l’effetto nazionale, perché il voto alla componente moderata della maggioranza di governo bilancia lo spostamento a destra della Lega e le contraddizioni di Fratelli d’Italia.

Troppo poco per convincervi ad andare ai seggi? Se così fosse lo capirei. Io stesso, preso dalla disperazione e non certo dal qualunquismo, ho più volte praticato l’astensione dal voto. Ma questa volta sconsiglio, a me prima ancora che a voi, di fare questa scelta. Troppo decisive, queste elezioni, per permetterci il lusso di quella coerenza. Nell’età dell’insicurezza che viviamo, dentro un presente fatto di mille incertezze, il nostro futuro è l’Europa. E l’Europa o va verso una maggiore integrazione, o non va da nessuna parte. Buon voto.

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.