Di Maio, Renzi, Calenda e un nuovo sistema politico
BRAVO DI MAIO CHE SEPPELLISCE I 5STELLE. PESSIMI RENZI E CALENDA CHE NON CAPISCONO LA SUA MOSSA
di Enrico Cisnetto - 25 giugno 2022
Il movimento 5stelle si è frantumato, la sua storia politica è finita. Si celebrano i funerali di un mostro, la più grande forza populista di tutto l’Occidente creata da un saltimbanco ignorante, ma dotato di indubbie capacità imbonitorie, con l’aiuto sostanzioso e determinante di interessi non italiani che scommettevano su un lucroso break-up di un paese sfibrato da un lungo declino. Si tratta di una grande notizia, per chi ha a cuore le sorti del nostro Paese. Perché rappresenta la premessa indispensabile per la scomposizione del sistema politico che, ahinoi, ci ha portato fin qui – la Seconda Repubblica, fase uno e fase due, e quella più recente che io ho definito la “Non Repubblica” – passaggio ineludibile per fermare il declino e provare a invertire la rotta. Non necessariamente è la fine del populismo (virus che purtroppo circola in tutti i partiti, seppure con diversa intensità), ma certo gli è stato assestato un colpo che spero ora gli elettori trasformeranno in qualcosa di letale (anche se ha ragione Francesco Merlo quando dice che quel che manca in questa storia è la resa dei conti tra Grillo e gli italiani, che lui ha sedotto sbeffeggiando la politica e riuscendo, come prima mai, a fare di quello sberleffo una rendita elettorale, e poi ha abbandonato infischiandosene bellamente fino al punto di non andare nemmeno a votare).
Dunque, di fronte ad un passaggio politico di questa fatta, che manda in frantumi la perniciosa idea del “campo largo” del Pd di Letta, come non si possa capire che l’iniziativa di Luigi Di Maio debba essere considerata benedetta, e ciò a prescindere da cosa si possa pensare del ministro degli Esteri e delle ragioni del suo gesto, onestamente fatico a comprenderlo. Eppure le critiche più feroci non sono venute dal presunto leader avvocato Conte e dalla ciurmaglia che gli è rimasta intorno – colti clamorosamente di sorpresa dalla mossa scissionista, e ciò la dice lunga sulla consistenza di costoro – ma sono arrivate da due alfieri, Renzi e Calenda, della “cosa terzista” che dovrebbe appunto prima scompaginare e poi archiviare il bipolarismo all’italiana, nel frattempo diventato “bipopulismo”, proprio per colpa del successo dei 5stelle. I due hanno ricoperto di insulti Di Maio, bollandolo come il peggior trasformista della storia nazionale, che in confronto Agostino Depetris era un paladino della coerenza politica. E francamente, volendo escludere che si tratti di una gelosa preoccupazione che il ministro possa rubar loro scena e spazio, non solo non se ne vedono le ragioni, ma non esito a definirlo un “autogoal alla Niccolai” (per i più giovani o per gli inesperti di calcio, Comunardo Niccolai era un difensore del Cagliari degli anni ’60 e ’70 di ventato famoso per la propensione alle autoreti).
Sia chiaro, non è che non esistano motivi di critica nei confronti di Di Maio, ed è evidente che in un mondo ideale la sua mossa avrebbe dovuto essere accompagnata da una ben più articolata fase di profondo dibattito, in cui il richiamo agli errori commessi avrebbe richiesto un’analisi impietosa e scarnificante. Ma queste erano cose che accadevano nella bistrattata Prima Repubblica, poi si è sempre fatto diversamente. Prima la pretesa di archiviare una storia come quella del comunismo italiano, certo ben più impegnativa del grillismo, senza il lavacro politico e culturale di una Bad Godesberg, e poi la personalizzazione della politica – di cui anche Renzi e Calenda sono caduti vittima – che ha messo i partiti in mano a leader padronali, tutto ciò ha cancellato il confronto interno, la partecipazione degli intellettuali, i congressi a tesi contrapposte, le leadership plurali. Dunque, pretendere che una scissione grillina fosse all’insegna di una pratica politica desueta, è ingenuo o, più probabilmente, specioso.
I lettori ricorderanno che giusto un mese fa, nella TerzaRepubblica del 28 maggio (qui il link) scrissi una “lettera aperta” a Di Maio incitandolo a lasciare subito i 5stelle e mettersi al servizio della creazione di una forza politica, che da tempo io definisco “il partito che non c’è”, insieme con altre realtà politiche, sociali e culturali. So che il ministro l’ha letta, e devo arguire che quel “consiglio non richiesto” non è stato considerato inopportuno.Tuttavia, in quell’occasione non avevo mancato di ricordare i danni prodotti dalla postura politica pentastellata, la pericolosità di certi slogan, i guasti di talune leggi volute e presentate al Paese come salvifiche dai grillini, e il ruolo primario che Di Maio ha avuto in tutto questo, cui si sommano errori personali gravissimi, dalla richiesta di impeachment a Mattarella alla discesa in piazza al fianco dei gilets jaunes a Parigi. E, aggiungevo, che il combinato disposto tra i ricordi ancora vivi delle sue gesta populiste e il peccato originale di essere espressione di una forza costruita sul “vaffa” consacrato a linea politica, rendeva legittimo diffidare della sua “evoluzione”. Ma, dico oggi dopo la scissione realizzata fulmineamente, non vale la pena dividersi tra chi lo considera sincero e chi bugiardo.
Ciò che importa è che la rottura sia avvenuta per riaffermare una linea euro-atlantista contro i putiniani di complemento che albergano nella nostra vita politica molto più di quanto non si creda. E non è poco. Per quanto riguarda Conte, poi, non basta il voto favorevole alla risoluzione sull’invio di armi in Ucraina, strumentale e ipocrita, per dissipare i dubbi o rendere “inutile” il gesto dei dissidenti). E, soprattutto, che essa produca effetti benefici sul sistema politico. Magari innescando un processo imitativo che incoraggi i dissidenti anti-Salvini a uscire allo scoperto anziché continuare nel mugugno a mezza bocca, o spinga le componenti più coraggiose di Forza Italia a seppellire una volta per tutte il berlusconismo. Tutto il resto è segno di insipienza politica.
Diverso, invece, è ragionare criticamente sull’uso che Di Maio farà della sua nuova forza. Nel breve, è scontato: supporterà Draghi e il governo. Ma il vero tema della politica italiana è il “dopo Draghi”. Come si presenterà alle elezioni? Di quale assetto politico si farà promotore? E quali processi mette in moto nelle altre forze politiche? Io penso che la mossa di Di Maio sarà utile anche oltre l’effetto benefico che ha già prodotto – la fine di Grillo e del grillismo – nella misura in cui saprà concorrere alla costruzione di un’offerta politica ed elettorale liberal-democratica e riformista, ancorata all'europeismo e alla lealtà atlantica. Come? Sbaglierebbe se pensasse di farlo da solo o lanciando un’opa su qualche altra forza. Ma il fatto che abbia deciso fin d’ora che “Insieme per il futuro” non sarà un partito e non avrà un simbolo, ma sarà un “contenitore temporaneo” per unire più anime, moderate e progressiste, fa pensare che questo errore non dovrebbe commetterlo. Infatti, va creata una “costituente” aperta dove nessuno abbia la tentazione di fare il “capo cantiere”, che aggreghi forze senza egemonie e leadership precostituite. In questi giorni si parla intensamente di un soggetto composto da alcuni sindaci, da Sala a Nardella, da Gori a Pizzarotti (a proposito, Di Maio farebbe bene a cercare pubblicamente il primo cittadino di Parma, recitando il mea culpa per la cacciata dai 5stelle di cui fu oggetto).
I Inomi sono quelli giusti, anche se sarebbe utile coinvolgere sindaci civici di centro-destra, come il genovese Bucci. Ma essere popolari perché amministratori comunali vicini ai cittadini è un pre-requisito, non una solida base politica. Occorre dunque andar oltre. Ma qui le sortite di Renzi e Calenda, peraltro divisi da profonde incompatibilità caratteriali, non fanno ben sperare. Né aiuta l’incertezza di Letta, che capisce che Conte ha trasformato il suo “campo largo” in un camposanto, ma non ha il coraggio di approfittare della mossa dimaiana per operare quell’apertura al centro che è l’unica a potergli assicurare di vincere le elezioni se permanesse, complice la legge elettorale vigente, lo schema bipolare, o di scompaginare il bipolarismo malato lasciando che alla sua sinistra si collochi una forza finto “melanchoniana” di forte connotazione populista (con Conte e Di Battista) e magari anche sovranista (con Paragone e no-vax vari). Ma la partita è appena iniziata, e ben proseguirà se il prossimo game sarà la resa dei conti dentro la Lega. Dai, che qualcosa si muove.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
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