Non possiamo permetterci un altro 2020
FINORA IL 2021 SOMIGLIA MALEDETTAMENTE AL 2020. ECCO COSA FARE PER ROMPERE L’INCANTESIMO
09 gennaio 2021
Pandemia, ripresa economica che tarda, crisi di governo, choc americano. Cari lettori, il 2021 si è aperto, ma fin qui è apparso come una coda dell’annus horribilis che si è chiuso senza che, a quanto pare, ne sia stata praticata la sepoltura. E tutti i problemi irrisolti che ci portiamo dietro hanno un comun denominatore: lo sgretolarsi della politica.
È una coda del 2020 il prolungarsi della pandemia e l’allontanarsi nei mesi a venire della vaccinazione di massa che, sola, può metterci realmente al riparo dal Covid. Anzi, quando già contiamo il doppio dei morti degli altri paesi, s’intravede l’inizio della “terza ondata”. Mentre il reale impatto della “campagna di immunizzazione”, al di là del vergognoso esibizionismo con cui si è voluto condirne il timido e impacciato inizio, ci dice che a marzo avremo solo il 5% di vaccinati e a giugno meno del 20%. Decisamente troppo poco, se si considera che l’immunità di gregge si raggiunge solo con una copertura vaccinale intorno all’80% della popolazione. Il fatto è che in questa situazione non è più accettabile l’affannoso inseguimento del virus, con l’estenuante alternanza di restrizioni e allentamenti che, di fatto, mantiene i servizi sanitari in costante sovraccarico, danneggia l’economia, produce danni alla salute delle persone e aumenta il numero dei morti. Occorre immediatamente un piano per la gestione 2021 della pandemia, sotto tutti i punti di vista, che si accompagni e si integri con un piano di interventi strutturali sul sistema sanitario nazionale, impossibile da ottenersi senza il ricorso alle risorse europee del Mes. Ma per far questo ci vuole un governo che elabori una proposta e mostri l’attitudine prima ancora della materiale capacità di realizzarlo. Ed è evidente che non può essere quello in carica, ma uno nuovo di zecca.
Ed è una coda del 2020 il persistere della recessione. Nessuno lo dice, ma la cosa grave non è solo che consuntiveremo il 2020 con un calo del pil poco sotto il 10% – cosa che rende la nostra economia una delle peggiori se non la peggiore d’Europa – ma soprattutto che difficilmente nel 2021 riusciremo a recuperarne neanche due di quei punti di ricchezza perduta (il governo nei suoi piani ha scritto +5,1%, due volte e mezzo in più). E se si considera che la pandemia ci ha colpiti quando non avevamo ancora recuperato i postumi della doppia recessione connessa con la crisi finanziaria globale e con la crisi del debito dell’area dell’euro, per cui nel 2019 il pil era ancora di quasi 4 punti percentuali inferiore a quello del 2007 se ne deduce che al 31 dicembre scorso stavamo sotto di oltre 13 punti, e che alla fine di quest’anno saremo sempre con una perdita a due cifre. Oltre 200 miliardi volatizzati. D’altra parte è da più di due decenni che l’economia italiana cresce sistematicamente meno di quelle degli altri paesi sviluppati, frenata dalla stagnazione della produttività del lavoro, che in termini di prodotto per ora lavorata dal 1995 è cresciuta di appena il 7% contro il 26% dell’eurozona. Mentre la ricchezza pro capite, che a parità di potere di acquisto nel 1995 era di 9 punti superiore a quella media dell’area euro, già nel 2019 era inferiore di 10 punti e oggi è ancora peggiorata pesantemente. Con conseguenze sull’occupazione che finora si sono viste solo in parte, ma che diventeranno esplosive quando finirà il blocco dei licenziamenti (e qui ha ragione il presidente di Confindustria Lombardia Marco Bonometti a reclamare che questo argine sia rimosso il prima possibile perchè rimandare non fa altro che rendere ancora più forte l’impatto, e a proporre la creazione di un’Agenzia nazionale per la formazione durante il periodo della cassa integrazione).
Ma è una coda del 2020 anche il modo di reagire a questo stato di cose. Che si sostanzia in due atteggiamenti: sottovalutare, per ignoranza e per codardia, l’entità dei problemi; persistere nel credere che la soluzione stia nell’elargire sovvenzioni. Iniziata con gli 80 euro di Renzi, la “bonus economy” nel 2020 ha tracimato tra monopattini, biciclette, rubinetti e altre amenità varie, ma non si ferma. Quest’anno avremo prelievi senza limiti e acquisti liberi (sarà possibile comprare beni finora vietati, come gioielli e pellicce) per il sussidio riservato agli over 67 chiamato “pensione di cittadinanza”. Nel suo ultimo articolo prima che la morte lo cogliesse prematuramente, il mio amico Peppino Turani ha scritto: “Decine di bonus stanno piovendo sugli italiani. Mai visto niente del genere al mondo.
Invece di comportarci come il paese più indebitato d’Europa, facciamo finta di essere i più ricchi”. Come dargli torto?
E anche se nell’ultima delle svariate versioni del piano italiano per il New Generation Ue i sussidi siano stati limitati (sic) a 45 miliardi per aumentare la quota destinata agli investimenti in conto capitale (147 miliardi), rimane il fatto che si sia dovuti arrivare alla virtuale crisi di governo per fare un cambiamento che comunque lascia all’economia sovvenzionata ancora un quarto delle risorse europee che, invece, dovrebbero interamente essere impiegate per una radicale trasformazione del sistema economico e produttivo. E che questo piano per il Recovery non sia all’altezza della sfida lo dimostra la demenziale scelta di ridurre di 10 miliardi (da 35,5 a 25,7) rispetto a quanto previsto in partenza i finanziamenti per l’innovazione del sistema produttivo, assolutamente decisivi ai fini della ripresa.
Anche qui sfugge che ci accingiamo a prelevare denaro che solo in parte è a fondo perduto, e che dunque aumenterà l’indebitamento. Cosa necessaria se si trattasse di “debito buono” – ma come abbiamo visto lo è solo in parte e comunque andrà misurata l’effettiva capacità di produrre pil degli investimenti – e che comunque si andrà ad aggiungere al deficit già maturato. La manovra 2021 licenziata dalle Camere pochi giorni fa contiene infatti ben 40 miliardi di deficit, cui ne vanno aggiunti 26 destinati al 2021 dalla legge finanziaria approvata nel 2019. Totale 66 miliardi, quasi tre volte gli importi standard dell’ultimo decennio. A ciò aggiungiamo i 150 miliardi di deficit prodotto nel 2020 e altri 100 da spalmare nel prossimo quinquennio, oltre ad un quinto decreto Ristori che viene dato per sicuro a breve e si arriva a un debito potenziale di 300 miliardi. Sostenibile a due condizioni: che la Bce continui a tenere aperto l’ombrello protettivo comprando sul mercato a piene mani i nostri Btp, unico motivo per cui lo spread in questa fase non misura il reale rischio Italia; che il piano Recovery sia davvero efficace. Ma se questa seconda condizione venisse meno al punto tale da indurre l’Europa a bloccare l’erogazione di quei fondi di natura straordinaria che solo il decisivo intervento della Merkel ha sbloccato – e le grida d’allarme del commissario Ue Gentiloni lo fanno temere – allora anche la copertura della Bce potrebbe vacillare e il nostro debito diventerebbe insostenibile, aprendo la porta al default italiano.
Ed è ancora una coda del 2020 (e degli anni precedenti) il fatto che alla politica, ai media e più in generale all’opinione pubblica sfugga la portata dei problemi e la gravità della situazione. Lo dimostra non tanto la crisi che si è aperta per mano Renzi ma che era latente da mesi – e della quale io mi scandalizzo, lo scontro politico-parlamentare è il sale della democrazia, da troppo tempo diventata assai sciapa – quanto la sua avvilente dinamica, fatta di ipocrisie, opacità e giochetti di potere di terz’ordine. Il fatto è che a battere i pugni sul tavolo di Conte scuotendolo dal suo insopportabile solipsismo non è stato il Pd, che ne avrebbe avuto sacrosanta ragione (e interesse), ma l’inattendibile Renzi, che se questa volta nel merito ha ragione, resta pur sempre inaffidabile. La differenza la farà comunque lui (e questo per Zingaretti è comunque uno smacco): se farà sul serio e saprà dare uno sbocco positivo alla crisi, avrà riconquistato il centro della scena e potrà tornare a dare le carte; se dovesse mollare per qualche posto in più, o per un semplice rimpasto o anche per essere riuscito ad affondare Conte, allora da morto politicamente che è sarà definitivamente sepolto.
Ma quel che importa è sapere cosa ne viene al Paese di tutto questo. Ora, che ci sia bisogno in una fase così delicata della nostra vita collettiva di cambiare radicalmente passo e che non può essere questo governo e questa maggioranza a poter imprimere la svolta necessaria, a me pare evidente. Così come mi è chiaro che non può essere l’attuale centro-destra, capitanato da due leader che fino a ieri si sono rifatti a Trump e che di fronte all’atto eversivo da lui innescato – inevitabile conclusione di un mandato presidenziale scriteriato – pensano di potersela cavare semplicemente dicendosi contrari alla violenza. Resta dunque una sola via: quella di portare subito alla guida del Paese le sue teste ed energie migliori. Draghi se possibile, ma non c’è solo lui. Le forze parlamentari che sostengano un esecutivo all’altezza della svolta ci sono, visto il desiderio di tutti (ma proprio tutti) di portare a termine la legislatura. Se vogliamo che il 2021 cominci davvero – cioè che segni la discontinuità con funesto anno che l’ha preceduto – ci vuole qualcuno che impugni questa bandiera e vada fino in fondo.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.