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L'editoriale di Terza Repubblica

Berlusconi statista tardivo

BERLUSCONI “STATISTA TARDIVO” È POCO CREDIBILE, MA SUO MALGRADO POTREBBE SPARIGLIARE LE CARTE 

14 novembre 2020

Nonostante che la pandemia e la spaventosa crisi economica generata dalle contromisure sanitarie, peraltro fallimentari, dovrebbero indurre a ben altri atteggiamenti, il mondo radical chic è tutto un fremito per il “nuovo” Berlusconi. Sono bastate due telefonate “ragionevoli” del Cavaliere a Fazio e Floris, per far partire i peana allo “statista tardivo” – convertito, meglio tardi che mai, al dialogo e all’apertura – e per indurre schiere di alfieri dell’anti-berlusconismo a gettare nella spazzatura l’armamentario di terribili accuse che per un quarto di secolo sono state la loro unica ragion d’essere politica e culturale. Ci sarebbe da sorridere, se non fosse che sull’adesione o la contrapposizione a Berlusconi si è costruito un sistema elettorale e politico – il maggioritario e il bipolarismo all’italiana – e si è caratterizzata una lunga stagione della vita nazionale – quella della Seconda Repubblica – che hanno avviato il Paese sulla strada del declino per poi consegnarlo al populismo e al sovranismo di questi ultimi anni. Inoltre, a chi come me non ha mai praticato né il berlusconismo né il suo contrario, di fronte a questo spettacolo di riabilitazione democratica c’è persino da farsi arrotolare le budella al pensiero che se Berlusconi fosse stato sempre “inclusivo” come ora si atteggia, e se i suoi nemici non lo avessero demonizzato finendo per identificare la politica con il solo contrapporsi furiosamente a lui, forse l’Italia sarebbe stato non dico un paese “normale”, ma certo meno “anormale” di quanto non sia stato e non sia. Indubbiamente, a pensarci fa rabbia: Forza Italia è stata a lungo il primo partito italiano, Berlusconi per anni ha guidato il governo – sbagliando, avrebbe dovuto lasciare a mani più esperte quella delicata incombenza, ma tant’è l’ego… – e se avesse avuto l’umiltà di imparare cos’è la politica anziché dedicarsi ad altro, facendo il moderato e l’inclusivo quando era il momento, forse le italiche vicende avrebbero preso un’altra piega.

Ma, si sa, la storia non si fa con i se e con i ma. E comunque intorno alla riesumazione postuma di Berlusconi (non me ne voglia il Cavaliere per questa definizione, in fondo gli sto allungando la vita) vale la pena di fare qualche ragionamento di più stringente attualità e persino di prospettiva. Perché ciò che sta avvenendo non è casuale e può anche determinare qualche cambiamento rispetto al “continuismo” del governo Conte.

La prima cosa da notare è che il “nuovo” Berlusconi in realtà è, almeno nelle intenzioni che lo muovono, assai “vecchio”, nel senso di farsi come sempre gli affari suoi. È infatti difficile da credere che sia solo una coincidenza il fatto che queste sue “uscite” siano avvenute proprio mentre era in discussione in sede parlamentare un provvedimento che mette al sicuro Mediaset dalle mire dei francesi di Vivendi – cosa opportuna, sia chiaro – poi passato nonostante l’ostilità di Salvini. Però i voti di Forza Italia potrebbero servire ad una maggioranza claudicante, ed ecco che il famigerato conflitto d’interessi diventa un labile ricordo del passato anche per chi l’ha tanto sbandierato. Ora, che a chiudere gli occhi sia il Pd non impressiona, non è la prima volta e non sarà l’ultima. Né turba che sia Conte, che da buon avvocato dal dna democristiano (nel senso deteriore del termine) non avrà certo penato nell’accogliere le peraltro giuste istanze di Mediaset. Diverso, invece, è che a farlo siano stati i grillini (nella fattispecie il ministro Patuanelli), segno che il realismo – ingrediente fondamentale del fare politica – ha raggiunto anche coloro che sono arrivati in parlamento e al governo scuotendo l’albero dell’anti-politica. Potrebbe anche essere considerato un buon segno, questo, se dietro ci fosse una sana consapevolezza, figlia di un serio processo di maturazione, e non furbizia e trasformismo.

Sia come sia, è ormai evidente che Berlusconi ha deciso, seppur assai tardivamente, di uscire dall’angolo di un’opposizione ottusa, che se già era sterile in situazioni normali diventa insopportabile in una fase di emergenza come questa. Bene, si dirà. Sì. Ma a patto che la sua disponibilità non sia puramente merce da baratto che, in cambio d’altro, consenta a questa maggioranza e soprattutto a questo esecutivo di traccheggiare fino a quando il “semestre bianco” (fine luglio 2021) impedirà al Quirinale di sciogliere le Camere, di fatto congelando la situazione politica sino all’elezione del Presidente della Repubblica (fine gennaio 2022). Il Paese non si può permettere di galleggiare ancora per oltre un anno, c’è assoluto bisogno di discontinuità. Anche perché è evidente l’affanno del governo nell’affrontare la seconda ondata del Covid, senza la quale è assai probabile che l’assetto politico nato nell’estate dell’anno scorso, e ormai logoro, avrebbe già ceduto.

Ma un conto è fornire qualche voto parlamentare, specie al Senato, come scialuppa di salvataggio per sorreggere la maggioranza in certi passaggio difficili, altro è cambiare il sistema delle alleanze. È pronto Berlusconi a fare un passo di questo genere, pur sapendo che significherebbe spaccare il centro-destra, o se si vuole togliere definitivamente il velo alle differenze profonde che già ora separano Forza Italia dagli altri due partiti di opposizione? L’impressione che l’uomo, come al solito, tentenni, nel tentativo di salvare capra e cavoli. Ma, come dice Cacciari, questo “non è il tempo del moderatismo, ma delle riforme radicali, quasi al limite del rivoluzionario”. L’ex ministro Brunetta si spinge a proporre una “bicamerale leggera, in stile Copasir”, presieduta da un esponente della minoranza, che dovrebbe servire per scrivere insieme la manovra di bilancio e poi per gestire i fondi europei in arrivo. Sarebbe un modo per tradurre in pratica l’appello di Mattarella all’unità nazionale, ma già sappiamo che su questa linea Salvini e Meloni (che pure gioca più morbido del leader leghista) non ci stanno, isolandosi come già hanno fatto nel pronunciarsi sul MES. Ma un passaggio del genere sarebbe comunque molto utile, perché delle due l’una: o Forza Italia riesce a imporre la linea moderata e costruttiva a Lega e Fratelli d’Italia, e allora ben vengano i figliol prodighi, oppure non riesce ma allora si sgombra dal campo l’ipocrisia di un centro-destra coeso pronto a vincere le elezioni quando ci saranno, perché si eviterà l’ennesima operazione elettorale che poi non regge la prova del budino (governare). D’altra parte, l’essere divisi su questioni come l’Europa e gli Stati Uniti – con gli uni nel Ppe che votano la von der Leyen e apprezzano la vittoria di Biden, e gli altri che fanno i nazionalisti e tifano Trump fin sulla soglia della sovversione istituzionale – non è cosa a cui nessuna coalizione di governo minimamente seria potrebbe (e dovrebbe) resistere.

Insomma, nel brevissimo (da qui a gennaio) possono accadere due cose: o l’emergenza in qualche modo si domina, o scappa di mano, fin d’ora o presentandosi dopo Natale sotto forma di terza ondata del virus. In tutti i casi, o perché la fine dell’emergenza rende i partiti più liberi o perché la sua prosecuzione procura tensioni sociali difficili da domare, è pensabile che l’attuale governo non regga. Come minimo nella sua attuale composizione ministeriale (rimpasto), oppure anche nella figura del presidente del Consiglio (cambio a maggioranza invariata) o in toto (allargamento della maggioranza). Ecco dunque che Berlusconi dovrà decidere come comportarsi, non potendosi limitare a fare il buonista blandendo i nemici televisivi di un tempo. E altrettanto saranno chiamati a fare Salvini (e chi dentro la Lega ha idee diverse dalle sue) e Meloni.

Ma non è una forzatura dialettica affermare che nel breve (2021) questa classe politica, di maggioranza come di opposizione, rischia seriamente di essere letteralmente travolta, come accadde nel 1992, se il paese andrà alla bancarotta sanitaria (la pandemia sfugge di mano prima che arrivi il vaccino in dosi di massa) ed economica (dopo l’attuale recessione non c’è rimbalzo del pil e il debito pubblico esplode). E che a quel punto anche i piccoli cabotaggi di cui vi ho parlato saranno spazzati via. Non me lo auguro, naturalmente, sia per le premesse terribili che creerebbero quella situazione, sia perché abbiamo già vissuto la stagione delle monetine tirate in faccia ai leader politici, e non ha portato a nulla di buono. Ma questo non basta ad esorcizzare quell’eventualità. Semmai aumenta la responsabilità di tutti noi, di quelli che sanno leggere con anticipo la situazione e, pur da fuori dal perimetro formale della politica, devono sforzarsi di provare a mettere in circolo degli anticorpi. Prima che sia troppo tardi.

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