Fine del pentaleghismo?
SE LA CRISI DEI 5STELLE METTE FINE AL PENTALEGHISMO L’ALTERNATIVA NON PUÒ ESSERE IL VECCHIO BIPOLARISMO
22 marzo 2018
C’è un riflesso condizionato intollerabile nelle reazioni, sia da parte dei 5stelle che delle opposizioni, agli ultimi accadimenti in Campidoglio, che sembrano mettere una pietra tombale sull’esperienza populista in salsa grillina che Roma e l’Italia, giustificatamente ma irrazionalmente arrabbiate, hanno voluto non farsi mancare. Dice Luigi Di Maio a nome del movimento – riecheggiando la definizione minimizzante (“mariuolo”) che Bettino Craxi diede di Mario Chiesa nel 1992 all’alba di Tangentopoli – che De Vito, così come chi l’aveva preceduto sulla strada della perdizione, è “una mela marcia” e che la “diversità” pentastellata sta nel fatto che quando accade la cesta viene subito svuotata dei frutti avariati. Replicano gli avversari: “avete tradito l’onestà che avevate predicato e sulla quale è stato costruito il vostro consenso elettorale”. Ecco, in queste due reazioni solo apparentemente opposte c’è, molto più che negli stessi atti di mariuolaggine peraltro da rubagalline, tutta la dimensione del tragico decadimento della nostra democrazia. Perché il tema non è se e in quale misura i 5stelle siano stati infettati dal virus della corruzione, quante mele marce siano finite nel loro cesto e di conseguenza di quanto si siano allontanati dalla loro (presunta) purezza nativa. Prima di tutto perché guardando alla storia politica del grillismo non c’è nulla di più opaco della genesi organizzativa del movimento e niente di meno democratico della sua gestione, così come non teme confronti il dilettantismo della sua classe dirigente (si fa per dire). E poi, soprattutto, perché in politica l’onestà è in primo luogo onestà intellettuale, la quale presuppone ancoraggi culturali solidi, radici programmatiche consolidate, visioni del mondo e della società in cui si opera che consentano di cogliere la complessità delle sfide a cui dover dare risposte adeguate.
Come è facile intuire, stiamo parlando di qualcosa di ben diverso, anzi di diametralmente opposto, dall’urlare un “vaffa” a tutto e a tutti, dal solleticare le pulsioni anti-politiche che circolano nelle viscere della società. Ecco dove sono annidati i germi della corruzione della politica: nel far credere ai cittadini che il tema dirimente stia nello spazzar via i partiti e le loro rappresentanze governative, parlamentari e amministrative per far posto ai “puri”, il cui unico segno distintivo è l’ostentazione della loro presunta verginità morale e politica; e poi su questo mantra costruire il consenso, conquistarlo e raggiungere il potere. Potete star certi che se queste sono le premesse, il fallimento è garantito, e non sta solo nella perdita della tanto decantata illibatezza, quanto soprattutto nell’inevitabile tradimento delle aspettative di buon governo suscitate nell’elettorato. Un incapace messo a guidare una città, una regione o il paese intero è peggio di un mariuolo; un incapace e mariuolo nello stesso tempo, è una vera tragedia.
Abbiamo l’impressione che in moltissimi di quegli italiani che hanno ritenuto di dover punire – purtroppo con buone ragioni – chi negli ultimi due decenni ha fatto dell’Italia il fanalino di coda dell’Europa sotto tutti i profili, stia crescendo la consapevolezza che quello schiaffo, pur meritato, sta producendo danni incalcolabili. Ma, allo stesso tempo, che solo una parte di essi sia disposta a tornare a votare i puniti pur di togliersi questi “dilettanti allo sbaraglio” dalle scatole. E non solo per le colpe del passato, quanto per la pochezza del presente e delle prospettive future. Oggi, stante l’offerta presente sul mercato politico, chi vuole liberarsi dei 5stelle e non si fida della Lega, ha da scegliere, da un lato, tra Pd, una manciata di forze che stanno alla sua sinistra e il gruppetto testimoniale europeista di Bonino, mentre dall’altro, tra Berlusconi e la Meloni. In realtà, considerati i pesi e pur sapendo che in un sistema a base proporzionale come quello attuale anche le forze più piccole possono avere una loro utilità, le uniche due vere alternative sono Pd e Forza Italia. Una, i democratici, appena uscita con la scelta di Zingaretti, comunque non priva di ambiguità, da una crisi esistenziale da cui non sarà facile riprendersi. L’altra, l’ex partito guida del centro-destra, costretta da Berlusconi a non darsi un ricambio e quindi del tutto ed esclusivamente dipendente dalla capacità dell’ultraottantenne Cavaliere di rinverdire i fasti del passato. Appigli fragili, a cui attaccarsi. Ma gli italiani hanno una lunga esperienza in fatto di approcci alla politica secondo lo schema del “meno peggio”, e può darsi che se tornino a farseli bastare.
Tra poche ore si andrà alle urne in Basilicata. Sarà un piccolo ma significativo test, l’ultimo prima delle europee perché poi in Piemonte e in 3800 Comuni si voterà lo stesso 26 maggio. Se le cose andranno come in Abruzzo e Sardegna, al di là di chi conquisterà la palma del vincitore si sarà consolidato il processo che tende a riportare le lancette dell’orologio politico a prima del novembre 2011 e del febbraio 2013, i due momenti in cui il bipolarismo che aveva caratterizzato la Seconda Repubblica è morto. Il vistoso rinculo dei 5stelle, se confermato o addirittura accentuato alla luce delle ultime vicende, non solo farebbe venir meno le già fragili ragioni dell’alleanza giallo-verde, con conseguente caduta del governo dopo le europee ed elezioni anticipate tra giugno e settembre, ma rilancerebbe la classica contrapposizione tra centro-destra e centro-sinistra.
Bene, si dirà. Chi non tirerebbe un sospiro di sollievo a non vedere più l’ineffabile Toninelli seduto nei banchi del governo? Certo, ma fino a un certo punto, però. Per almeno tre ragioni. La prima è che il bipolarismo non solo ha già fatto fallimento una volta, e non si sente per nulla il bisogno che lo faccia una seconda, ma soprattutto è stato quello che ci ha consegnato nelle mani della ancor più fallimentare esperienza nazional-populista che stiamo vivendo. E dunque non è saggio rimettersi nelle mani del boia, ancorché ci appaia, e probabilmente sia, meno peggio della corda con cui oggi ci stiamo impiccando. La seconda ragione è che questo sarebbe un bipolarismo zoppo, perché al Pd rimarrebbe come unica chance per poter formare una maggioranza quella di allearsi con i 5stelle, e qui si cadrebbe dalla padella alla brace. La terza ragione, speculare alla seconda, è che il vincitore già scritto prima ancora di andare a votare non sarebbe il vecchio centro-destra – comunque non rimpianto – ma un nuovo e per certi versi un po’ inquietante destra (Salvini e Meloni)-centro (Berlusconi) sul cui esito, in termini di governo, non ci sentiremmo di scommettere, ancorché giureremmo su un esito meno infausto di quello del governo Conte-Di Maio-Salvini.
In conclusione, chiudere al più presto questa infelice esperienza di governo pentaleghista, recuperando la Lega ad alleanze più proprie, è certamente il primo degli obiettivi. Cui subordinare qualunque altra cosa? Fino ad un certo punto, altrimenti corriamo il rischio, come nel gioco dell’oca, di tornare di nuovo alla casella di partenza. Per questo occorrono nuovi e più affidabili agenti del cambiamento. In particolare serve un partito centrale (non centrista) che faccia da anello di congiunzione tra la parte riformista della sinistra – anche per non lasciare che il Pd torni in mani massimaliste per il solo gusto, pur più che comprensibile, di castigare Matteo Renzi – e la parte moderata del centro-destra (impedendogli di diventare destra-centro). E devono essere le forze culturali liberaldemocratiche, che oggi non si sentono politicamente rappresentate, e il mondo imprenditoriale che è legittimamente preoccupato delle condizioni della nostra economia e che vive la frustrazione di vedere compromesse da scelte sbagliate e politiche inesistenti le possibilità di ripresa, a rimboccarsi le maniche per dar vita a questo nuovo soggetto, indispensabile se si vuol far evolvere il sistema politico e ridare nuovi assetti e nuova dignità a quello istituzionale. Le potenzialità elettorali ci sono – non fosse altro per tutti quegli astenuti non qualunquisti che aspettano solo di essere recuperati al voto – e le condizioni politiche, a cominciare dalla legge elettorale proporzionale, pure. Ci vuole la volontà e l’impegno. Attendiamo fiduciosi.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
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