2019 senza alternativa
IL GOVERNO SALVINI-DI MAIO-CONTE NON ESISTE MA SE NON NASCE L’ALTERNATIVA IL 2019 SARÀ UN DISASTRO
21 dicembre 2018
Al pari delle stagioni, anche le crisi di governo non sono più come quelle di una volta. Per questo la fine del governo Salvini-Di Maio, avvenuta nel momento dell’accordo con la Commissione europea che ha evitato all’Italia la procedura d’infrazione, non viene celebrata da una crisi formale. Ma ciò non vuol dire che l’esecutivo nato il primo giugno sulla base del famoso contratto di governo voluto e sottoscritto dai due vicepresidenti del Consiglio, non abbia chiuso la sua esistenza, sepolto sotto le macerie della disastrosa gestione della manovra. Disastrosa per i contenuti della finanziaria, che da manovra per lo sviluppo che doveva essere – e che non è mai stata – è diventata, con tagli per quasi 10 miliardi tutti dal lato degli investimenti, manovra pro recessione, visto che la previsione di crescita per il 2019 dello 0,9% – peraltro ottimistica – è del 40% inferiore all’1,5% indicato nella Nota di aggiornamento al Def di settembre e riconfermato nella prima stesura della legge di bilancio. Disastrosa per la modalità con cui il governo si è rapportato all’Europa, della serie dovevamo suonargliele e siamo stati suonati. E disastrosa adesso, a cose fatte, per l’evidente incapacità che il duo Salvini-Di Maio sta dimostrando di saper riconoscere gli errori commessi, ignorando che per gli italiani, più smaliziati di quanto non si pensi, è molto peggio tentare di gabbare una sconfitta per una vittoria che non ammettere l’insuccesso.
Insomma, siamo di fronte ad un passaggio che rappresenta, a poco più di 200 giorni dalla nascita del governo e a 5 mesi esatti alle elezioni europee, una pietra tombale sull’accordo tra Lega e 5stelle e sulle ambizioni politiche che ne erano state fatte discendere. Dunque, quel che preme, ora, è capire che cosa viene dopo. Si andrà alla crisi oppure ci aspetta uno scenario di “discontinuità nella continuità”, cioè stessa maggioranza con equilibri e uomini diversi? O, al contrario, pur in un contesto di sostanziale rottura del patto di governo, assisteremo fino al 26 maggio al pietoso trascinamento del governo così com’è, secondo l’imperituro schema del “galleggiamento” (alla faccia del “cambiamento” enunciato in nome del popolo)?
Molti si sono affrettati a dire che in queste ore è nato il “governo Conte”. Ovviamente l’interessato nega, rivendicando che fin dal primo giorno questo è stato il “suo” governo. In realtà, non era così prima e non è così adesso: il governo Conte non esiste. È un’osservazione oggettiva, la nostra, che prescinde dalle qualità personali dell’avvocato Giuseppe Conte: egli è stato solo il notaio del contratto di governo, e non ci sono le condizioni, politiche e parlamentari, perché possa cambiare ruolo. E non sarà certo la maggiore esposizione mediatica conseguita ultimamente a cambiare la sostanza delle cose.
Altri sostengono, invece, che sia nato il “governo Mattarella”, di cui il ministro Tria viene indicato come l’esponente di maggior spessore. Sarebbe facile negare il fondamento di questa suggestione, non fosse altro ricordando che il tratto del presidente della Repubblica contrasta irrimediabilmente con la più remota delle possibilità che in lui alberghi l’idea di mettere il piede anche solo di un millimetro fuori dal perimetro delle sue competenze. Nello stesso tempo, però, è evidente come il capo dello Stato, pur evitando ogni supplenza, abbia seguito con particolare attenzione la partita della legge di bilancio e il braccio di ferro che intorno ad essa è sorto con Bruxelles, diventando di fatto il punto di riferimento di chi fin dall’inizio nella gestione della manovra ha mostrato senso di responsabilità e competenza. Cioè i ministri Tria e Moavero. Mentre Conte si è aggregato solo alla fine, insieme a Paolo Savona, che ha scoperto la pericolosità dello spread quando il differenziale con i Bund tedeschi aveva ormai superato i 300 punti. Si dice: basta vedere la foto di Conte che al Senato parla in assenza dei due vicepresidenti, ma con a fianco il ministro dell’Economia e quello degli Esteri, per capire quanto e come siano cambiati gli equilibri. Vero. Ma – ci domandiamo – tutto questo è sufficiente per immaginare che il governo attuale regga dignitosamente fino alle europee? Guardate che 5 mesi sono politicamente un’eternità, e se sia gli ultimi 3 mesi del 2018 che i primi 3 del 2019 si aggiungeranno al già certificato come negativo terzo trimestre di quest’anno, rendendo conclamata la recessione – come purtroppo tutte le rilevazioni della congiuntura fanno temere – allora le tensioni sociali che già s’intravedono esploderanno. Magari a cominciare da quelle degli imprenditori. Anche perché a dicembre l’Istat ha rilevato che l’indice di fiducia delle imprese è ulteriormente sceso, per il sesto mese consecutivo, precipitando rispetto ai livelli di giugno. E altrettanto sta accadendo all’indice che misura il clima di fiducia dei consumatori, nonostante che dicembre sia il mese delle tredicesime.
E allora? Potrebbe bastare un rimpasto, che congedi i ministri più disastrosi e ridefinisca i pesi dentro il governo, facendo crescere quelli dei ministri tecnici “mattarelliani”, per tirare avanti? Certo, meglio così che il puro galleggiamento di un esecutivo morto. Ma in politica, come nella vita, gli artifizi hanno sempre vita breve. La verità è che oggi questo assetto politico è, a dir poco, surreale. Nello stesso tempo sia la Lega e sia i 5stelle sono in larga maggioranza contro questa alleanza, seppure per ragioni opposte, ma di certo non lo sono i due gruppi parlamentari – soprattutto quello pentastellato, che non ha sbocchi alternativi – che temono che la fine della legislatura gli faccia perdere il posto. Così come questa maggioranza gialloverde non può sopravvivere senza Salvini e Di Maio ma nello stesso tempo, paradossalmente, neppure con i due al loro posto, come se niente fosse accaduto.
Come si vede, occorre trovare un’alternativa. E bisogna individuarla al più presto, prima delle elezioni europee, perché non si può pensare che siano esse a crearla, magicamente, se già in quelle urne non saranno presenti una o più schede diverse da quelle che l’attuale offerta politica offre, e che offriva lo scorso marzo, quando il malcontento verso gli errori del passato – e segnatamente verso Renzi e Berlusconi – ha ingrossato le fila dei due partiti del populismo nazionalista. Gli errori di questi mesi, il timore che se ne commettano di irreversibili sul terreno degli interessi economici individuali (cosa che rappresenta il motivo della mostruosa fuga di capitali in atto proprio in questa fine d’anno), la paura che si perda l’ancoraggio con l’Europa, la scoperta che il nuovismo fa rima con dilettantismo, le illusioni presto trasformatesi in disillusioni: sono tutte premesse che rendono da un lato possibile – non vorremmo dire facile, ma solo per non menare gramo – e dall’altro urgente, la nascita di nuove realtà politiche che siano in grado di spostare il malcontento dal terreno della protesta e della risposta populista e giustizialista ai problemi, a quello della proposta responsabile e della politica riformatrice. E che, per essere autenticamente credibili, non abbiano nei loro armadi gli scheletri della Seconda Repubblica.
Occorre avere la consapevolezza che quella che è nata tra il 4 marzo e l’1 giugno non è la Terza Repubblica – altrimenti saremmo costretti a ridenominare questo nostro spazio “Quarta Repubblica” – ma una coda, tanto sciagurata quanto transitoria, della Seconda. E che il 2019, specie se dovesse essere l’anno della terza recessione del XXI secolo, sarà il momento decisivo per le sorti della nostra Repubblica. Dunque, a maggior ragione, buon Anno, cari lettori. Noi festeggiamo Natale e soprattutto lo lasciamo festeggiare a voi, e ci ritroviamo il 4 gennaio, il primo venerdì del fatidico 2019. Auguri!!
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.