Le nuove regole del gioco
USCIRE DALL’EMERGENZA ISTITUZIONALE CON L’ASSEMBLEA COSTITUENTE. CHIEDERE AL PROF. DELLA CANANEA
30 aprile 2018
Ma l’avranno capito i Di Maio, i Salvini, i Berlusconi, i Renzi e i loro rispettivi oppositori interni, che sono destinati a uscire non solo sconfitti ma addirittura massacrati politicamente da questo passaggio della vita della Repubblica che giustamente Michele Ainis ha definito di “emergenza istituzionale”? Temiamo di no, e forse è proprio questa loro insipienza a determinare l’alto grado di allarme che fa scattare l’impasse che con grande saggezza il presidente Mattarella sta rendendo visibile a tutti gli italiani. Facciamo brevemente un passo indietro. Il Parlamento ha approvato, dopo anni di inconcludenti discussioni, una legge elettorale di stampo proporzionale. L’ha imbastardita con una correzione maggioritaria – inutile ai fini della governabilità, e fuorviante sul piano delle dinamiche politiche – ma rimane pur sempre una scelta nella direzione del non precostituire preventivamente alleanze di governo. E infatti tutti i partiti si sono presentati agli elettori per proprio conto, compresi quelli di centro-destra che hanno comunque voluto fare un cartello elettorale. Il combinato disposto di tre fattori ben evidenti – la caduta della credibilità della politica e dei politici agli occhi dei cittadini, l’affermarsi ormai da tempo di un sistema tripolare e appunto la legge elettorale di stampo proporzionale – non poteva che portare ad un risultato del voto in cui nessuno avrebbe avuto in proprio i numeri necessari a governare. E infatti così è puntualmente stato. Peccato però che in campagna elettorale tutti abbiano chiuso gli occhi di fronte a questa realtà. Si disse: lo fanno apposta perché devono massimizzare il consenso. Vero, ma solo fino a un certo punto. Se fossero stati realmente e fino in fondo consapevoli di cosa sarebbe accaduto nelle urne, avrebbero evitato di bruciare ogni ponte di collegamento tra loro, prospettando a se stessi e agli elettori degli scenari per il dopo che non fossero solo quelli dettati dalla becera propaganda. Invece hanno bruciato non solo i ponti, ma anche le più minuscole passerelle. In più, hanno inforcato occhiali sbagliati per leggere il risultato del 4 marzo: 5stelle e Lega si sono autoproclamati vincitori, aiutati in questo da un Pd talmente preoccupato di non fare la figura di quelli che negano l’evidenza – come Renzi aveva fatto dopo la sconfitta, quella sì inequivocabile, del referendum – da definirsi battuto e quindi all’opposizione di non si sa bene che cosa visto che una maggioranza non era uscita dalle urne e tuttora, a quasi due mesi di distanza, non si è formata. La verità, invece, è che nessuno ha vinto le elezioni, come era prevedibile e come noi avevamo facilmente pronosticato. Ed essendo tutti (colpevolmente) impreparati a questa evenienza, ora l’impasse è inevitabile. Ma anziché prenderne atto e cercare di rimediare, ci si è rifugiati sia nel più bieco tatticismo politicante per cui un’alleanza vale l’altra, sia in vere e proprie fughe in avanti, tipo la stesura di documenti che intendono essere bozze di “contratti programmatici” quando ancora non si è stabilito chi siano i contraenti. Oppure si attribuiscono tutte le colpa alla legge elettorale – che è vero, fa schifo, ma per altri motivi – e s’immagina di metterci una pezza cambiandola in senso più marcatamente maggioritario. Ma, ammesso e non concesso che ci si riesca, rimarrebbero inevase due domande. La prima: quale forza avrebbe tanto consenso da poter raggiungere la soglia necessaria a far scattare il premio di maggioranza? Ci permettiamo di dubitare che oggi ce ne sia una in tali condizioni. A meno che non si pensi di introdurre la regola per cui si regala il premio a chi prende più voti a prescindere da quanti siano, cosa che oltre ad abbassare la già esigua probabilità di riuscita della riforma farebbe scattare quasi sicuramente la tagliola della Corte Costituzionale. La seconda: siamo sicuri che se una delle forze attualmente in campo dovesse avere in un modo o nell’altro la maggioranza sarebbe capace di usarla con profitto, visto che non è stata capace di coltivare uno straccio di alleanze con nessuno? Abbiamo già ricordato la settimana scorsa, in coincidenza con i 70 anni dal 18 aprile 1958, come la Dc di De Gasperi volle e seppe trovare l’accordo con altri partiti nonostante disponesse in via naturale della maggioranza dei seggi a Camera e Senato, e non è il caso di tornarci sopra. Ma certo non fa male ricordare ancora una volta quanto fu lungimirante, per il Paese e per la stessa Dc, quella scelta.
E ora? Ora sarebbe un piccolo grande passo avanti che qualcuno che calca questo sgangherato palcoscenico politico leggesse Ainis su Repubblica di oggi (qualcuno ci sarà pure), lo capisse (qui è già più difficile) e di conseguenza si rendesse conto che il Paese si aspetta una presa di coscienza del fatto che non solo serve una convergenza all’altezza della gravità dell’emergenza istituzionale che stiamo vivendo, ma che tale convergenza – convinta, e non subita perché imposta dal capo dello Stato – deve servire per affrontare una volta per tutte, con spirito costituente, i problemi strutturali di carattere istituzionale che ci portiamo dietro irrisolti da troppo tempo. Pia illusione? Probabilmente. Ma a volte certe cose nascono in un modo e poi finiscono per diventare altro. Prendete il caso di Di Maio che ha ingaggiato il professor Giacinto Della Cananea per fargli studiare i possibili comuni denominatori esistenti tra il programma elettorale dei 5stelle e quelli degli altri partiti. Noi conosciamo, e stimiamo, il professor Della Cananea da molto tempo, ben prima che il leader pentastellato si affacciasse alla politica. Una dozzina di anni fa, insieme al costituzionalista Alfonso Celotto, preparò per Società Aperta e TerzaRepubblica una proposta di legge che consentisse al parlamento di convocare un’Assemblea Costituente. Eravamo nel luglio del 2006, subito dopo che (fortunatamente) il popolo italiano aveva respinto la riforma del centro-destra nel referendum costituzionale. Fu un lavoro egregio, fatto in puro spirito di servizio, che suscitò grande interesse ma che non riuscì a bucare quel mix di indifferenza, ignoranza e conservatorismo che era il timbro della Seconda Repubblica. Tuttavia era il vero cambiamento di cui l’Italia aveva bisogno, e a maggior ragione ha oggi. Se lo faccia spiegare, Di Maio, dal professore che è stato bravo a scovare e ingaggiare, il valore riformista di un passaggio di quel genere nella vita della Repubblica. E la faccia propria, quella proposta, mettendo essa e non l’inderogabilità della ascesa della sua persona a palazzo Chigi al centro delle consultazioni con gli altri partiti. Sparigli le carte, che così è all’angolo sia che il governo riesca in qualche modo a farlo sia che non riesca. E se non Di Maio, sia qualcun altro a lanciare l’idea. Tanto questa legislatura ha per forza vita breve. Tanto vale andare a votare a maggio 2019 non solo per le europee (già convocate) e per le politiche nazionali, ma anche per l’Assemblea Costituente. Allora sì che sarà davvero nata la Terza Repubblica.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.