Larghissime intese
IL VELENO BERLUSCONI-SALVINI È SOLO L’ANTICIPO DEI GUAI CHE RISCHIAMO L’ANTIDOTO? 18 MESI DI LARGHISSIME INTESE
22 dicembre 2017
Invece di ingegnarsi a parlare al Paese della concretezza dei problemi e di come risolverli – approfondendo l’analisi, fin qui inesistente o nel migliore dei casi superficiale, e dando un po’ di respiro strategico alla proposta programmatica, per ora approssimativa e viziata dal populismo – i leader politici si apprestano ad animare l’ennesima campagna elettorale all’insegna della delegittimazione, che ai tempi del bipolarismo era reciproca e ora è diventata generalizzata, e della demagogia, con la gara a chi la spara più grossa in termini di promesse tanto illusorie quanto irrealizzabili. Insomma, un film già visto, che come sempre finirà con l’alimentare il doppio fenomeno dell’astensionismo e del voto di protesta.
Questa volta, però, un elemento nuovo c’è. Ed è lo scatenarsi di giochi e giochetti tattici sul dopo elezioni. Infatti, al di là dei proclami, tutti sanno bene che nessun partito o schieramento che si presenterà al giudizio degli italiani avrà la maggioranza alle Camere. E dunque, fin d’ora ci si ingegna a delineare scenari, quasi che ciascuno si senta autorizzato ad essere un piccolo Mattarella, suggerendo soluzioni con la stessa facilità con cui gli appassionati di calcio almanaccano la formazione della Nazionale sentendosene allenatori.
Il primo a uscire allo scoperto è stato Berlusconi. Ha detto che in caso di empasse è opportuno che il governo Gentiloni rimanga in carica per quella manciata di mesi necessari per tornare al voto. Suscitando la veemente reazione di Salvini, che ovviamente dell’attuale presidente del Consiglio non vuole nemmeno sentir parlare. Dietro questo balletto ci sono però cose più serie, su cui vale la pena di ragionare. L’uscita del Cavaliere, che pure è stata accolta da diversi osservatori come la conferma di una maturità politica che (purtroppo) non aveva quando stava a palazzo Chigi, è strumentale. Nel suo egocentrismo senza limiti – solo Renzi riesce a competere – il padrone di Forza Italia pensa ancora a se stesso come unico possibile salvatore della patria. E siccome spera che in sede europea gli venga restituita la legittimità che gli è stata tolta, senza la quale non può candidarsi ad un ruolo istituzionale, e sa che la sentenza non arriverà in tempo per il voto a marzo, ecco che un ritorno alle urne a giugno o addirittura settembre causa pareggio rappresenterebbe per lui il classico cacio sui maccheroni.
Se questi sono i presupposti – e lo sono – ovvio che il capo della Lega sia contrario. Ma questo vi fa capire, cari lettori, quanto sia da un lato fragile e dall’altro strumentale l’intesa tra i due. Anzi, tra i tre, considerato che c’è anche Meloni. Altro che rinascita del centro-destra, questa non è un’alleanza politica ma a mala pena un cartello elettorale, che tutti i partecipanti sono pronti a smontare una volta chiuse le urne. E se per il dopo Berlusconi è per un mini Gentiloni-bis, Salvini si prepara a rendersi disponibile ad un accordo con Grillo. Cercando di trascinare con sé anche Fratelli d’Italia. Magari solo un appoggio esterno, una volta che i 5stelle dovessero avere dal capo dello Stato un mandato esplorativo e tentassero di formare un governo. Certo, bisognerà vedere se la somma dovesse fare 51%. Ma questa è l’unica combinazione post elettorale a cui ci sentiamo di accreditare una potenziale maggioranza, non tanto sulla base dei sondaggi attuali quanto del nostro percepito (e, ci sia concesso un pizzico di immodestia, finora ci abbiamo azzeccato). Difficile ce l’abbiano Pd e Forza Italia, o i 5stelle e quello che starà a sinistra del Pd. Certo, per saperlo dovremo attendere che si formino i gruppi parlamentari, perché solo allora sapremo chi di coloro che risulteranno eletti con il centro-destra nei collegi uninominali starà con Berlusconi, chi con Salvini e chi con Meloni. E solo dopo sarà possibile fare di conto.
Tutto questo significa due cose. La prima è che il governo Gentiloni, che non si presenterà dimissionario perché provvederà l’arbitro Mattarella a fischiare la fine della legislatura, è destinato ad avere, a partire da ora, almeno cinque mesi di tempo davanti a sé. Il che significa la possibilità di poter fare ancora molte cose, se si interpreta la prassi del disbrigo degli affari correnti in modo non restrittivo. Sarà bene che il presidente del consiglio e i ministri abbiano piena consapevolezza di questo, per non buttare al vento tempo prezioso.
La seconda cosa è che la vera alternativa alla sciagurata ipotesi di tornare a votare a giugno o settembre – sciagurata non per le obiezioni sollevate da Salvini, ma perché significherebbe esporre l’Italia ad una pressione speculativa sui mercati del tipo di quella che ci fu nel 2011 – è quella di un governo di larghissime intese, cioè aperto alla disponibilità di tutte le forze parlamentari.
È l’ipotesi fin qui chiamata, impropriamente, “governo del presidente”. Mai etichetta fu più sbagliata, perché capace solo di irritare il capo dello Stato, il cui profilo istituzionale – diversamente dal suo predecessore – non contempla un interventismo ritenuto improprio. Stiamo quindi parlando di un governo che deve avere piena legittimità parlamentare e politica, anche se fosse in qualche misura formato da figure tecniche. Qualcosa di più vicino al governo Dini, nato nel gennaio 1995 e rimasto in carica per 486 giorni, che all’esecutivo Monti, non fosse altro perché nel primo caso era più chiaro il fatto che avesse un mandato temporalmente circoscritto. Meglio dire fin dall’inizio che si vara una soluzione da 12-18 mesi piuttosto che avventurarsi senza bussola né limiti. Cosa dovrebbe fare un governo del genere lo abbiamo già detto e lo ribadiamo: sostenere un minimo la ripresa economica, o quantomeno evitare di soffocarla; cambiare la legge elettorale, nella speranza che gli scienziati che hanno prodotto quella con cui a marzo andremo a votare nel frattempo siano rimasti a casa; convocare un’Assemblea Costituente, da far eleggere in parallelo alle Camere quando si tornerà a votare.
Si dirà: ma come è possibile che si riesca a mettere insieme forze politiche che si saranno sanguinosamente azzuffate nella prossima campagna elettorale? Certo l’impresa è ardua, ma non impossibile. Molto dipenderà da Grillo. Se, come qualche suo amico genovese dice a mezza bocca, l’uomo fosse davvero stanco e preoccupato, e soprattutto consapevole che la stagione del vaffa non può protrarsi all’infinito, e decidesse di far indossare ai 5stelle l’inedita veste dei “responsabili”, allora tutto sarebbe più facile. Se invece così non fosse, allora ci dovremo rassegnare al voto estivo dopo quello di fine inverno. E allo spread di nuovo alle stelle.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
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