Renzi inciampa sulla legge elettorale
RENZI INCIAMPA (PER COLPA SUA) NELLE LOTTE INTESTINE PD MA ORA PUÒ RISCRIVERE UNA LEGGE CHE ERA MEDIOCRE
09 giugno 2017
Un’occasione persa. Un pericolo (quasi) scongiurato. Un 4 dicembre bis. È riassumibile in questi tre giudizi l’aborto della legge elettorale finto tedesca, e le conseguenze che produrrà. Si è trattato di un’opportunità andata perduta, perché sarebbe stata comunque cosa buona e utile se una regola del gioco importante come il sistema di voto fosse stata finalmente partorita e votata in modo condiviso, anche a prescindere dalla qualità in sé della norma, che invece era nettamente sotto la sufficienza. Viceversa il suo affossamento dovrebbe comportare – il condizionale è d’obbligo – il definitivo accantonamento della cattiva idea di andare a votare anticipatamente. Un rischio che avremmo corso perché anche la più efficace barriera contro lo scioglimento antedata delle Camere, il Quirinale, non avrebbe avuto più armi di fronte alla copertura del vuoto legislativo con la nuova legge elettorale e forse avrebbe anche considerato le urne subito un male minore – e come dargli torto? – rispetto alla prospettiva di una campagna elettorale lunga 8-10 mesi. Ora, senza legge, per andare al voto a settembre-ottobre occorrerebbe un decreto che rendesse omogenei i due mozziconi normativi (ex Porcellum ed ex Italicum) risultanti dagli interventi censori della Corte Costituzionale, di cui non ricorrono però i presupposti della necessità e dell’urgenza perché, come è giusto, il capo dello Stato accetterebbe una tale decretazione solo a un passo dalla fine naturale della legislatura. Inoltre, il governo è rimasto estraneo alla vicenda della legge elettorale, e dunque non si capisce perché dovrebbe essere Gentiloni a pagare il prezzo del capitombolo parlamentare.
Dunque, abbiamo perso un’occasione sul piano del metodo democratico, ma in compenso ci siamo tolti dai piedi una legge mediocre e, con tutta probabilità, l’assurda pretesa di correre alle urne solo per soddisfare i pruriti di rivincita di qualcuno. Ma la vicenda dell’inciampo parlamentare della legge fraudolentemente chiamata tedesca ha anche e soprattutto un risvolto politico, di cui occorre tener conto per capire cosa potrà succedere. Il fatto è che quell’inciampo rappresenta una vera e propria catastrofe per il Pd, e per Matteo Renzi in particolare. Sono loro che hanno fatto lo sgambetto, è lui che si è fatto male cadendo. Risulta ridicolo, infatti, il tentativo di far ricadere sui grillini la responsabilità della rottura del patto Pd-Forza Italia-Lega-5stelle. E questo non perché non sia vero che i pentastellati abbiano, fiutata l’aria, fatto marcia indietro, ma perché i loro voti non erano per nulla indispensabili. La differenza l’hanno fatta i franchi tiratori del Pd, come testimonia la sugosa indiscrezione di stampa che racconta della telefonata tra Renzi e Berlusconi in cui il primo svela che i primi a tradirlo sarebbero stati tre uomini a lui vicinissimi (Matteo Orfini, Ettore Rosato, Lorenzo Guerini). Ma questo rende ancor più palese di quanto già non fosse la difficoltà di Renzi di guidare il suo partito, di dirigere il traffico politico con autorevolezza e, soprattutto, di rendersi indispensabile per il dopo voto (a prescindere da quando sarà). Erano partiti loro due, Renzi e il Cavaliere, in questa avventura della nuova legge elettorale e, almeno nella testa del segretario del Pd, del voto anticipato. Salvini e soprattutto Grillo erano un di più. L’obiettivo era quello di porre le basi della coalizione post elettorale. Il risultato è stato un disastro, un referendum bis. E anche ammesso, come taluno pensa, che Berlusconi fosse non solo al corrente ma addirittura il mandante dell’emendamento relativo al Trentino Alto Adige – peraltro sacrosanto – su cui è inciampato il “tedeschellum”, rimane il fatto che a franare sia stato il Pd, vittima di una guerra intestina senza precedenti che Renzi dimostra di non saper esorcizzare. E non si tratta solo dei peones che vogliono arrivare al vitalizio o che temono di non essere più messi in lista, ma anche di una presa di distanza di gran parte delle grandi personalità del partito. Il no di Napolitano al sistema elettorale ora defunto e al voto anticipato, l’allontanamento di Prodi e della Finocchiaro, i silenzi eloquenti di Rosy Bindi, persino la prudenza della Boschi, sono tutti segnali di un crescente isolamento di Renzi. Che ha persino dovuto sentir dire dal suo unico alleato, il capo di Forza Italia, che l’ideale presidente del Consiglio futuro sarebbe quel Mario Draghi che Matteino considera come fumo negli occhi, oltre che un pericoloso concorrente.
Insomma, Renzi ha sbagliato nuovamente mossa e si è ulteriormente indebolito. Tra l’altro consentendo a Grillo di uscire da una situazione in cui, a fronte della legittimazione come forza responsabile che finalmente condivide con le altre gli impegni della governabilità, si era pericolosamente (per lui) reso simile ai partiti tradizionali, rischiando così di non essere più credibile nel recitare il solito rosario anti-sistema. E regalare la verginità a chi sarà il tuo nemico in campagna elettorale, è errore che rischia di rivelarsi esiziale. Ma Renzi farebbe ancor peggio se ora provasse a scaricare le conseguenze dei suoi errori su Gentiloni e se per ripicca lasciasse intentata l’estrema prova: tornare in commissione e, una volta lasciato sedimentare il polverone, cercare di costruire un nuovo accordo, magari avendo cura di rendere davvero tedesco il testo di legge sia introducendo il voto disgiunto e le preferenze sia facendo propria la proposta del capogruppo dei senatori Pd, Luigi Zanda, benedetta da un luminare del diritto pubblico come Sabino Cassese, che mira a rendere meno facile le transumanze parlamentari, a impedire l’abuso che si fa di decreti legge e maxiemendamenti, e a introdurre la sfiducia costruttiva (caratteristica fondamentale del sistema tedesco) senza bisogno di toccare la Costituzione ma semplicemente modificando in sei punti i regolamenti parlamentari.
Non sappiamo se rimettere i piedi per terra e spegnere gli incendi da lui stesso, volente o nolente, appiccati, consentirebbe a Renzi di vincere le elezioni (che significherebbe riuscire ad avere i numeri per fare la coalizione con Berlusconi e gli eventuali centristi) e, cosa più difficile, di tornare a palazzo Chigi. Ma di sicuro ci guadagnerebbe il Paese.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
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