Nazareno alla luce del sole
PATTO RENZI-BERLUSCONI E LEGGE ELETTORALE TEDESCA OBIETTIVI GIUSTI PRATICATI IN MODO SBAGLIATO
26 maggio 2017
Le leggi elettorali sono come i soldi: così come la ricchezza aiuta a vivere meglio ma non fa la felicità, così le modalità di voto possono aiutare – se sono coerenti con il dna del paese dove si applicano e adeguati al momento storico che esso attraversa – ma certo di per sé non risolvono i problemi di funzionamento e credibilità di un sistema politico. Ergo, non aspettatevi che dalla scelta tra proporzionale e maggioritario, e tra i più diversi tipi di questo o quello, derivi la possibilità che la prossima legislatura sia finalmente “costituente” – nel senso di porre le basi per una rinascita politico-istituzionale, economica, sociale, culturale e morale del Paese – o finisca per essere, drammaticamente, quella che ci spinge nel baratro e spalanca la porta al commissariamento da parte della “troika”. Questo non significa che sia indifferente se si andrà ad una decisione – la possibilità che alla fine ci si limiti ad armonizzare le leggi decise dalla Consulta non è affatto tramontata – e a quale. Diciamo solo che va evitato di credere che una qualunque delle opzioni in campo possa rivelarsi salvifica. Perché? Semplice: la storia s’incarica di insegnarci che un sistema proporzionale (anche puro, cioè senza alcun correttivo) può produrre forze in grado di allearsi e governare – è la storia di gran parte della Prima Repubblica – e che uno così maggioritario da assicurare comunque la maggioranza in Parlamento a chi risulti primo nella competizione elettorale (anche senza stabilire tetti minimi) non per questo produce governabilità.
Fatta questa premessa, vi dobbiamo confessare, cari lettori, che di fronte al profilarsi di un nuovo patto del Nazareno, e per di più con la finalità di condividere una legge elettorale di tipo tedesco, invece di gioire nel vedere che le nostre idee prendono finalmente forma, ci sentiamo preda di una indicibile frustrazione. E sì, perché l’intesa che noi abbiamo sempre auspicato è un’alleanza politico-programmatica tra moderati e riformisti, non un accordicchio tra due debolezze come quello che Renzi e Berlusconi stanno facendo, ammesso (e non concesso) che resista alle loro reciproche diffidenze e furbizie. Ricordate? Mentre altri parlavano di inciucio ed evocavano “Renzusconi”, noi dicemmo che quello del Nazareno era un patto che, pur nato opaco, non andava demonizzato , ma semmai doveva essere portato alla luce del sole e cementato da un’intesa di legislatura. Invece restò tale, e – inevitabilmente – si ruppe presto. Non a caso su una questione di nomine, pur importante come quella del Capo dello Stato. Ora si replica, senza alcuna garanzia che l’eventuale accordo su un tipo di legge elettorale sappia poi produrre un vero e proprio patto di governo. Cui certo non basta avere come collante la data (anticipata) delle elezioni. E non solo perché nella vulgata politico-mediatica circola l’idea – mediocre come mediocri sono coloro che la usano – che un’eventuale alleanza di governo si potrà fare e annunciare solo dopo il voto, altrimenti si perdono consensi. No, non ce ne sono, e non se vedono all’orizzonte i presupposti, le condizioni. I veri motivi del nostro scetticismo sono tre.
Il primo è che entrambi i contraenti si credono ancora in un contesto bipolare. Sia chiaro, Renzi e Berlusconi lo sanno perfettamente che ora c’è un terzo soggetto, i 5stelle, e che l’area sovranista-populista si è andata affollando (Salvini e Meloni). Ma si comportano come se questo non fosse. Renzi coltiva ancora l’idea che il 40% di Sì al referendum di dicembre si trasformi in altrettanti voti alle politiche, pur non essendoci alcuna evidenza di questa possibilità. Quanto poi alla fissazione di voler anticipare il voto, è inspiegabile, salvo ricorrere alle categorie della psicanalisi, anche se si prova a mettersi dal punto di vista dei suoi interessi personali.
Sull’altro fronte, Berlusconi – dopo aver commesso, a suo tempo, l’errore marchiano di rompere su Mattarella – ora si (ri)avvicina a Renzi, pur non fidandosene, anzi avendo patito una forte delusione umana, per sfuggire ai diktat di Salvini. Solo che invece di rompere con un alleato con cui sarebbe comunque impossibile andare al governo insieme – salvo che la Lega non ritratti tutto su euro e Europa, cosa a dir poco improbabile – il Cavaliere coltiva ancora la speranza di una vittoria del “vecchio” centro-destra, che non esiste né sul piano dei numeri né su quello politico. Anche qui, l’unica che ci può soccorrere è la teoria dell’inconscio dell’animo umano che dobbiamo a Sigmund Freud, non altro.
Il secondo motivo di scetticismo è dato dalla mancanza di un terzo soggetto che favorisca e cementi l’accordo tra Pd e Forza Italia. Lo abbiamo detto e ridetto, occorre un partito di centro (nel senso della collocazione nella geografia politico-parlamentare) che faccia da anello di congiunzione. È evidente che le forze centriste già in campo, poche e per di più divise, non sono sufficienti. Occorre costruire una forza nuova. L’applaudito discorso di Carlo Calenda all’assemblea di Confindustria ha fatto sperare i molti che sentono questa necessità che fosse il preludio di una sua scelta in tal senso. Ci uniamo alla speranza. Ma occorre far presto, tanto più se Renzi commetterà l’errore di far cadere un altro governo amico dopo quello di Enrico Letta, o se i contrari al suo accordo con Berlusconi (Bersani e D’Alema) o gli eventuali danneggiati dalle modalità della legge elettorale nascente (Alfano che subisce lo sbarramento al 5%) commettessero loro l’errore di far cadere Gentiloni, spalancando le porte al voto a settembre-ottobre.
Infine, il terzo e ultimo motivo per cui guardiamo con scetticismo al dialogo in corso tra Renzi e Berlusconi (o se volete, tra Lotti e Gianni Letta) è dovuto all’insipienza politica che tanto gli avversari interni al Pd di Renzi quanto i “renziani” non ortodossi hanno dimostrato in questa circostanza. Perché lasciare a Matteo il pallino di quel dialogo? E perché una volta iniziato, rifugiarsi nello schema del “dagli al Renzusconi” o nel silenzio? Quel dialogo è l’unica cosa che può tagliare la strada alla corsa dei pentastellati verso palazzo Chigi. Ma proprio per questo non andava, e non va, lasciato nelle mani di quei due. Franceschini aveva fatto ben sperare, con alcune uscite sensate. Ma dove è finito?
Ma la nostra frustrazione non finisce qui. Riguarda anche quella che s’intuisce possa essere la normativa elettorale che mette d’accordo Renzi e Berlusconi. La chiamano legge tedesca, ma come ha spiegato bene Stefano Folli, non gli è nemmeno parente alla lontana. Tanto meno lo è il sistema istituzionale, che come noto deve essere un tutt’uno con la legge elettorale. Certo, piuttosto che l’obbrobrio di un maggioritario che consegna un premio a chiunque pur di fare in modo che la sera delle elezioni ci sia un vincitore conclamato – esigenza che non può trasformarsi in una fobia e giustificare così qualsiasi correttivo della realtà pur ciò accada – anche se non rappresenta la società che poi dovrà governare (di solito non succede che si riesca a governare lo stesso), beh è ovvio che un succedaneo del modello tedesco, per quanto rabberciato, va comunque meglio. Ma non sarebbe meglio che i Franceschini, i Fassino, gli Orlando, i Casini, gli Alfano, i Calenda, i Parisi e qualche buon consigliere di Berlusconi lavorassero per fare meglio? Il tempo stringe ma c’è, e soprattutto c’è un sicuro punto di riferimento: Sergio Mattarella.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.