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L'editoriale di TerzaRepubblica

Nessun nuovo bipolarismo

CENTRO-DESTRA E CENTRO-SINISTRA NON RESUSCITANO E GRILLO RESTA IL (PERICOLO) NUMERO UNO

16 giugno 2017

In politica, come e più che nella vita, ci sono tre errori che rischiano di rivelarsi esiziali: sbagliare analisi, coltivare illusioni, calcolare male i tempi. Ci pare di vederli commettere in modo copioso, di questi tempi. In particolare, dopo queste ultime elezioni amministrative. Due le analisi decisamente errate: i 5 Stelle hanno perso, e dunque sono fuori gioco; è tornato il bipolarismo. La prima corrisponde più a una diffusa speranza che alla realtà. I pentastellati raccolgono un voto di protesta e di rabbia che mal si addice a scelte di territorio, di tipo amministrativo. A meno che si tratti di città, come Roma, dove si riproduce il clima generale e la distanza tra candidati e cittadini non è inferiore a quella che c’è a livello nazionale. Se a questo si aggiunge che il sistema elettorale maggioritario a doppio turno, con elezione diretta del sindaco e incentivi alle aggregazioni, penalizza i grillini perché privi di personalità in lista, ecco spiegato un risultato che comunque, in termini di puro conteggio dei voti, fa far loro un ulteriore passo avanti (rispetto alle precedenti amministrative). Certo, la disastrosa performance di Raggi a Roma e quella meno positiva di quel che si è voluto far apparire di Appendino a Torino, hanno avuto una qualche influenza negativa. Ma è noto che quello conquistato da Grillo sia un voto “anti” (casta, establishment, Europa) e di forte connotato giustizialista, non a favore di un programma di governo (che non c’è). E dunque finché sussistono quelle ragioni di scontento e permane un’offerta politica priva di appeal, i 5 Stelle sono destinati non solo a rappresentare la gamba del tripolarismo, ma a primeggiare. Coltivare illusioni di segno opposto, come sembra fare Renzi, tanto più a fronte di un risultato del Pd deludente, è dunque autolesionismo allo stato puro. Cosa che fa scopa con la suggestione, senza fondamento, che centro-destra e centro-sinistra siano rinati e che dunque il vecchio bipolarismo stia per reimpossessarsi della scena politica.
Anche qui, la cattiva analisi alimenta illusioni destinate a trasformarsi in cocenti disillusioni. È evidente che in sede locale lo schema bipolare della Seconda Repubblica, figlio di un sistema di voto di tipo maggioritario a doppio turno, sia sopravvissuto alla morte che gli è toccata a livello centrale. Per la semplice ragione che non avendo trovato i partiti nazionali uno sbocco alternativo, la mancanza di prospettive ha spinto all’autoconservazione le classi dirigenti comunali e regionali, proponendo alle amministrative alleanze del tutto superate a Roma. Operazione resa possibile, peraltro, dall’additivo delle liste civiche, che in entrambe le coalizioni quasi ovunque hanno ottenuto circa la metà dei consensi. Cosa non certo replicabile in una elezione politica nazionale.

Ora, è chiaro da tempo che non esiste più il centro-sinistra, e che non sia riproponibile. A parte il brutto spettacolo di veder passare con assoluto sprezzo del ridicolo il Pd dall’ipotesi solitaria (figlia dell’idea che il 40% dei Sì al referendum fossero un patrimonio elettorale tutto suo) a quella dell’accordo con Berlusconi, per poi aprire improvvisamente a sinistra, è evidente che non ci sono le condizioni perché il Pd guidato da Renzi possa ritessere la tela ulivista. Tanto più di fronte alla pretesa che avrà Renzi di essere lui il candidato per palazzo Chigi. Forse troverebbe un’intesa con Pisapia, ma mai con i fuorusciti di ieri (che senso avrebbe per Bersani e D’Alema?) e dell’altroieri (Fassina) e con la sinistra più radicale. Si dice: ma il cartello ulivista potrebbe metterlo insieme Romano Prodi, che nel frattempo si è definito equidistante tra le due sinistre. Vero, lui è l’unico. Ma è evidente che non ci starebbe Matteo, salvo suicidarsi politicamente. E, se anche fosse, credete che una simile armata brancaleone possa riscuotere un consenso sufficiente a vincere, specie in un contesto di tipo proporzionale? Non è cosa, punto e basta.
Stesso discorso vale per il centro-destra. La rottura tra Berlusconi e Salvini è ormai consumata da tempo, e non è sanabile perché in qualche città o regione Forza Italia e Lega sono alleate. E la legge proporzionale, che si tratti del finto tedesco già bocciato o di un Consultellum rimaneggiato, non può che favorire la scomposizione del centro-destra, spingendo Berlusconi verso il centro per poi tentare di governare con il Pd, e Salvini ad alzare ulteriormente i toni populisti (ammesso che si possa, perché più di così…) per poi o fare il leader dell’opposizione o andare al governo con Grillo. Con Meloni che deve decidere da che parte stare (se lo sbarramento fosse al 5%) o se giocare in proprio (se fosse al 3%). In tutti i casi, è bene che le strade si separino, visto che a dividere Forza Italia dai lepenisti-sovranisti sono questioni fondamentali come l’Europa e l’euro.

Insomma, abbiamo avuto per quasi un quarto di secolo un bipolarismo che pretendeva di mettere insieme il diavolo e l’acqua santa pur di vincere le elezioni, per di più dividendo i due fronti sulla base dell’adesione o dell’avversione ad una persona (il Cavaliere), con l’inevitabile risultato di non riuscire a governare il Paese. La conseguenza sono stati oltre due decenni di micidiale declino, economico e non solo. Da quella trappola ne siamo usciti “grazie” alla crisi del 2011, senza però saper trovare una strada nuova capace di dare certezza e stabilità. Ma tra essere in mezzo al guado e tornare indietro ad un sistema politico fallimentare, ovvio che vada evitata la seconda che abbiamo detto. Guai ad illudersi che i due schieramenti possano essere rieditati, perché da una parte Berlusconi non è più il dominus e perché dall’altra il collante può essere solo l’avversione a “Renzusconi”, che peraltro presume l’indisponibilità del Pd renziano. E, a maggior ragione, guai a pensare che farlo sarebbe la soluzione dei nostri problemi.

Noi dobbiamo guardare a quel che avviene in Europa, dove in autunno, dopo le elezioni tedesche, e dopo che si sarà capito se Londra intende fare marcia indietro rispetto alla Brexit – cosa possibile e auspicabile, alla luce del voto di settimana scorsa e dell’impasse che ha creato – si avvierà una fase nuova, un consolidamento politico e istituzionale che ci porrà di fronte al dilemma se volerne ma soprattutto se poterne far parte, o meno. Quella risposta sarà fondamentale, e gli interlocutori si chiameranno Merkel e Macron. Arrivare a quella resa dei conti avendo stabilito un rapporto privilegiato con il francese è cosa a dir poco saggia. Come fare? Ne parliamo settimana prossima.

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