Pacificazione pre-Referendum
LA “PEZZA” DEL RINVIO PEGGIO DEL “BUCO” REFERENDARIO MA RIMANE LA NECESSITÀ DI UNA PACIFICAZIONE POLITICA
04 novembre 2016
Pericolo scampato, problemi persistenti. L’idea, senza paternità certa e destinata a rimanere orfana, di rinviare all’anno prossimo il referendum costituzionale, per fortuna non è passata ed è ormai archiviata, salvo sorprese (improbabili ma non impossibili, considerato che le argomentazioni sono tutt’altro che infondate) che dovessero arrivare dal ricorso dell’ex presidente della Corte Costituzionale Valerio Onida presso il Tribunale di Milano, che chiede di accogliere la richiesta di sollevare davanti alla Consulta l’eccezione di legittimità della legge istitutiva del referendum, laddove non prevede l’obbligo di scissione del quesito quando la riforma riguardi più temi. Non che l’idea fosse sbagliata in sé: fummo tra i pochi ad applaudire il Nobel per l’economia Joseph Stiglitz quando nell’agosto scorso (prima del terremoto di Amatrice) suggerì a Matteo Renzi di “cancellare” la consultazione paventando che si sarebbe potuta rivelare un cataclisma per l’eurozona, figuriamoci se ci poteva spaventare l’ipotesi di un rinvio alla prossima primavera.
Ma un conto era prendere decisioni drastiche – l’economista americano temeva non tanto il risultato quanto la speculazione finanziaria che sulla consultazione si poteva innestare, e quindi chiedeva che il governo rinunciasse al referendum adottando quelle decisioni politiche che l’avrebbe reso superfluo – e prenderle in quel momento, quando la prospettiva era ancora di votare ai primi di ottobre e sull’Italia pesavano “solo” 4 mesi di campagna elettorale (da aprile in poi, con le ferie estive di mezzo), e un altro conto sarebbe stato decidere un rinvio a 30 giorni dal 4 dicembre, dopo altri tre mesi di scontri furibondi.
L’attesa infinita porta solo nuove incognite, ha scritto giustamente Massimo Franco sul Corriere della Sera. Errare humanum est, perseverare autem diabolicum, aggiungiamo noi: fu un errore far slittare da ottobre a dicembre la data del referendum, ora sarebbe stato un orrore. Lo diciamo sapendo che ad oggi viene accreditata una vittoria del No, lo avremmo detto allo stesso modo se i sondaggi suggerissero il contrario. Senza contare che se si fosse voluto smontare l’effetto politico, per carità, la motivazione era anche nobile – ritrovare la coesione per far fronte ai drammi del terremoto – ma semplicemente si era ormai fuori tempo massimo. Perché quegli esiti che Stiglitz paventava si sono già in certa misura prodotti – il Paese bloccato in attesa del responso delle urne, con lo spread oltre i 160 punti e l’Istat che è costretta a certificare che i consumi e l’economia rallentano e che, soprattutto, non c’è nessuna prospettiva di accelerazione nei prossimi mesi – anche se per fortuna non (ancora) in misura così drammatica, e perché oggi il rinvio finirebbe con l’allungare i tempi della campagna elettorale, anziché pacificare gli animi, moltiplicando gli effetti perniciosi del referendum. Che, come abbiamo già detto nelle scorse settimane e che ribadiamo con forza, sono molto più legati alla lunghezza e alle modalità dello scontro elettorale – trasformato per colpa di tutti, ma di Renzi in primis, in una sorta di giudizio universale sul governo e sul primo ministro – piuttosto che alla prevalenza del Sì o del No.
Detto questo, rimane la necessità di evitare che l’ultimo mese che ci separa dal voto finisca per dar ancor più fuoco alle polveri di quanto già non sia stato fin qui. L’altissimo numero di coloro che restano incerti sul da farsi – se andare a votare e quale delle due risposte eventualmente dare al quesito – ci conferma che è stato un errore madornale trasformare il referendum in un surrogato delle elezioni politiche, e che ora il rischio è che i cittadini frastornati e scocciati da questo scontro senza logica finiscano per restare a casa, nauseati. Così come il rischio post referendum, quale che ne sia l’esito, potrebbe rivelarsi quello di non riuscire a rimettere insieme i cocci del sistema politico – si pensi, per esempio, alla tenuta del Pd – a tutto vantaggio delle forze populiste.
Dunque, se lo spirito pacificatore con cui è nata (e subito abortita) l’idea del rinvio era sincero, se ne recuperi l’essenza e si dia una svolta a questo ultimo mese di campagna elettorale. Prima di tutto ce lo aspettiamo da Renzi. E non solo perché porta le maggiori responsabilità di aver voluto per primo trasformare il referendum in un plebiscito politico, e perché è presidente del Consiglio. Noi ce lo aspettiamo perché dare una svolta a questa deriva sarebbe nel suo interesse personale. Sia che vinca il Sì, perché eviterebbe di drogarsi del risultato finendo per commettere gli stessi errori che ha commesso dopo l’inebriante ma fuorviante risultato delle elezioni europee (il famoso 40%, l’inizio della parabola discente del giovane premier), sia che vinca il No, che indubbiamente sarebbe per lui una sonora sconfitta anche se dovesse restare a palazzo Chigi.
Come fare a sparigliare il gioco e mettere il referendum su un binario diverso da quello su cui sta camminando? Sprecata l’occasione della suddivisione in più quesiti della domanda referendaria, restano altre due possibilità. La prima è fare subito una proposta di radicale cambiamento dell’Italicum, che consenta di evitare la bocciatura della Corte Costituzionale e di catturare il consenso di Berlusconi e di quella parte del centro-destra che lo segue (tanto di guadagnato se Salvini si metterà di traverso). Qui non si tratta di prendere impegni, magari generici per il dopo voto, ma di prendere un’iniziativa che dia certezze prima di tutto agli italiani e poi al parlamento di dove s’intende andare a parare. Pensiamo che rifarsi al sistema tedesco sarebbe oltremodo saggio, ma ci metteremmo la firma anche se si facesse il copia e incolla del modello di voto (e quindi istituzionale) francese. Seconda possibilità: dire fin d’ora cosa Renzi intende fare, sul piano delle iniziative e delle alleanze politiche, sia nello scenario di prevalenza dei Sì che dei No. Difficile? Troppo poco tempo davanti? Certo, partendo prima sarebbe stato tutto più facile. Ma volendo, si può. E sarebbe – finalmente – la prima dimostrazione che Renzi si è trasformato da abile politico a statista. Ora o mai più.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
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