La crisi dell'antipolitica
IL DISASTRO DI ROMA SARA' LA TOMBA DEI 5 STELLE SOLO SE I PARTITI SAPRANNO RICONQUISTARE GLI ITALIANI
di Enrico Cisnetto - 09 settembre 2016
Quello che sta succedendo al Campidoglio non ci stupisce, anche se lo spettacolo è più indecente del previsto e il dilettantismo va oltre l’immaginato. Né tantomeno ci delude, visto che non avevamo riposto alcuna speranza in un esperimento politico che aveva la stessa probabilità di riuscita del tentativo di far rientrare il dentifricio nel tubetto dopo averlo fatto uscire. Avevamo pronosticato – e sperato, per il bene di Roma – che la giunta Raggi avrebbe retto al massimo sei mesi, e oggi, a maggior ragione, confermiamo il pronostico e l’auspicio. Ci si potrebbe dunque fermare qui di fronte al disastro del Campidoglio, che nel giro di qualche mese potrebbe persino regalare clamorose patenti riabilitative alle precedenti esperienze capitoline. Francamente i retroscena di cui si nutrono da qualche giorno i media non ci appassionano minimamente, anzi irrita il fatto che si scoprano ora ambizioni sfrenate, lotte intestine per bande, contraddizioni e impreparazioni che sono sempre state ben visbili se solo le si fosse volute vedere. Né crediamo che il tema sia quello di una eventuale separazione della Raggi dai pentastellati, perché questa vicenda dimostra che lei e loro sono ugualmente incapaci e inadatti a governare situazioni complesse.
Invece, c’è una questione, che vale la pena di esplorare perché coinvolge il futuro più prossimo della politica nazionale, traducibile in due domande. La prima: siamo di fronte solo al “caso Raggi” o più in generale alla “crisi del movimento 5 stelle”? La seconda: è tramontata o no la possibilità che alle prossime elezioni i grillini siano il partito di maggioranza relativa e, legge elettorale permettendo, conquistino palazzo Chigi? Si tratta di quesiti fondamentali, perché fino a ieri si è parlato (noi per primi) della “crisi di Renzi” e dell’autolesionismo del primo ministro che volendo l’Italicum si era scavato la fossa da solo perché quel meccanismo di voto è il più congeniale alla “premiata ditta Grillo&Casalleggio” per assicurarsi il governo del Paese, mentre oggi lo scenario potrebbe evolvere mettendo una pietra tombale sul possibile sorpasso grillino sul Pd. Prevarrà il senso di fastidio verso Renzi, così crescente negli ultimi mesi da averlo indotto, percependolo e vedendolo tradotto nei sondaggi, a cambiare registro comunicativo, o prevarrà quello verso coloro che avevano raccontato di essere “diversi” e che invece si stanno platealmente rivelando come tutti gli altri?
La risposta non è affatto semplice. Da un lato, scatta la tentazione di pensare che è troppo grande ed eclatante il disastro Roma per non indurre molti elettori che hanno scelto 5 stelle in spregio alla vecchia politica e per evitare l’astensione, a non ripetere il gesto alla prossima occasione, anche alle politiche. Dall’altro lato, però, proprio perché il voto grillino nella stragrande maggioranza dei casi non è stato “per” loro ma “contro” gli altri, e quindi privo di aspettative particolari, si può anche immaginare che, se i motivi di disgusto verso il centro-destra come il centro-sinistra permarranno – e ci sono molte ragioni per credere che sia così – il flusso di voti ai campioni dell’anti-politica potrebbe non ridursi, o addirittura aumentare ancora. A favore di questo secondo caso vale il fatto che quella del Campidoglio non è certo la prima manifestazione di incapacità e di contrasto interno che i pentastellati hanno mostrato, sia in parlamento che nelle amministrazioni locali dove sono andati al potere, eppure finora né l’epurazione di un cospicuo numero di parlamentari né casi come quello di Parma e Livorno hanno, a quanto pare, intaccato la voglia di molti elettori di usare il movimento 5 stelle come randello da dare in testa alla politica tradizionale.
Si tratta di capire, però, quale sia ora lo stato d’animo degli italiani di fronte ad uno spettacolo così clamorosamente rivoltante fornito in un impegno amministrativo di valenza nazionale e nell’ascoltare giustificazioni così puerili come “siamo vittime di un complotto dei poteri forti” (sic!) e come il “non ho capito cosa c’era scritto in una mail” recitata maldestramente da quel Di Maio che pure è (era) il più probabile candidato alla poltrona di primo ministro. Uno come Paolo Becchi, che se ne intende per averli frequentati fino a sembrare il loro guru, sostiene che dei grillini è ormai iniziata la fine, perché non reggeranno alle lacerazioni interne che li stanno dilaniando. In effetti, vedere Grillo che dopo aver strombazzato ai quattro venti che avrebbe fatto un passo di lato per riprendere a fare l’unica cosa di cui è capace, il comico, ora è costretto a mettere in scena in fretta e furia una nuova rappresentazione narrativa della sua baracca, tornando con Di Battista al movimentismo e buttando alle ortiche il doppiopetto di Di Maio, fa pensare che Becchi abbia ragione.
D’altra parte, qualcuno sostiene che l’apprezzamento per l’altra sindaca grillina eletta nelle ultime amministrative, la torinese Appendino, o comunque il silenzio (nel senso di nessuna notizia negativa) che circonda la sua attività, finirà per compensare l’immagine negativa della Raggi. Può essere. Anche se ci rifiutiamo di pensare che alla gran parte di chi ha votato 5 stelle sfugga che è inevitabile che scoppino le contraddizioni di un movimento populista privo di cultura politica e capace solo di denunciare, quando arriva al governo di una città, di una regione o del Paese intero. E che, dunque, le singole vicende, negative (Roma) o apparentemente positive (Torino) che siano, non facciano la differenza.
Per questo restiamo convinti che la sconfitta dei 5 stelle non dipenderà da loro, ma dagli altri, da Renzi (chi, se no, nel Pd e nel centro-sinistra) e a questo punto da Parisi (di cui parleremo la settimana prossima) di riconquistare la fiducia perduta degli italiani non solo in loro ma nella stessa politica.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
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