Berlusconi e il PUPI
L’EMPASSE DI BERLUSCONI CI CONSEGNA AL “PUPI” PARTITO UNICO DEL POPULISMO DI LEGA E CINQUESTELLE UNITI
23 aprile 2016
Ma Berlusconi si è rincretinito? La domanda, riferita alle vicende relative alla corsa al Campidoglio, si gioca la testa della hit parade delle questioni politiche del momento con quella in cui ci si domanda se i magistrati sotto la guida di Davigo faranno a Renzi quel che hanno fatto (e cercato di fare) al Cavaliere. Sul secondo quesito abbiamo già detto, e per ora non ci resta che auspicare sia che le procure non facciano la guerra al presidente del Consiglio (l’attuale come chiunque altro), sia che Renzi non imiti Berlusconi ed eviti la guerra delle parole, senza fatti di governo, nei confronti delle toghe.
Occupiamoci, dunque, del centro-destra e in particolare di Roma. Noi non abbiamo mai particolarmente apprezzato né l’acume politico né tantomeno la capacità di governare del Silvio nazionale. Inoltre, contrariamente anche ai suoi più acerrimi nemici – che lo hanno gratificato di poteri che non ha mai avuto – non ci è mai venuto in mente di considerarlo un decisionista, anzi. Per questo possiamo essere credibili se vi diciamo che no, Berlusconi non è diventato matto. Stefano Folli ha scritto che si tratta di un ex monarca ormai esausto e frastornato. Vero. Ma lo psicodramma che vive il centro-destra non è figlio di sue incertezze – o comunque non di nuove rispetto a quelle che ha sempre avuto – ma del quadro politico che si è venuto a determinare, e che qui abbiamo chiamato “Seconda Repubblica bis”. Del quale, questo sì, l’ex Cavaliere porta grande responsabilità per aver mandato a farsi benedire quel “patto del Nazareno” che avrebbe potuto spingere Renzi e la legislatura verso una deriva ben diversa da quella che ha preso dopo la rottura, seppur soft, tra loro.
Lo scenario che si è venuto a determinare vede il Pd posizionato al centro dello schieramento politico (vecchio schema Dc), dopo aver scientemente perso alla propria sinistra la componente più radicale e aver attratto (per ora come alleati, ma domani come componenti interne) i centristi, con la dinamica bipolare che ha assunto una nuova fisionomia rispetto a quello pro o contro Berlusconi, perché contrappone le forze di governo (che ci sono e ci vogliono restare) a quelle populiste (che sono all’opposizione e che da lì non hanno nessuno intenzione di muoversi). E in questa seconda posizione ci sono il Movimento 5stelle e la Lega di Salvini (con la destra post-fascista della Meloni sostanzialmente annessa). È evidente che in uno schema del genere non c’è spazio per Forza Italia, che partito liberale di massa si è sempre autodefinita senza mai esserlo ma che pur tuttavia rimane con un dna in cui è impressa la vocazione di forza di governo. Con un tasso di populismo, come nel caso del Pd, eccessivo per i nostri gusti (sofisticati, lo ammettiamo), ma pur sempre partito con una strutturale inclinazione a governare il Paese. Peccato però che Renzi gli occupi il suo spazio naturale (sempre di più, tra l’altro) e che il maldestro tentativo di ricompattare le forze appartenenti al vecchio centro-destra lo costringa a sottomettersi ai voleri della componente ormai pienamente lepenista, la “nuova” Lega. Con il risultato che laddove l’operazione riesce – Milano – si può pensare di vincere le elezioni comunali e di piazzare, nel caso, un ottimo sindaco – Stefano Parisi – ma di certo ci si infila in un’alleanza destinata a non avere futuro politico nazionale. E laddove non riesce – Roma, almeno fino a questo momento, ma ci sono tutte le premesse per un disastro di proporzioni bibliche – si certifica la distanza siderale che separa Berlusconi da Salvini, ma si perde. La minaccia lanciata dal capo della Lega che “chi non appoggia la Meloni aiuta Renzi, e chi aiuta Renzi non sarà alleato della Lega”, suona come l’apertura di una vera e propria guerra che ha in palio il “dopo Berlusconi”, inteso come divisione delle spoglie elettorali dell’ex partito di maggioranza.
Riteniamo dunque che l’empasse berlusconiana nella Capitale non sia un impazzimento o la solita tendenza a non scontentare nessuno, ma derivi dalla percezione, se non piena consapevolezza, di questo stato di cose. Dal quale il fondatore di Forza Italia, che per di più si ritrova tutto spappolato quel poco che è rimasto del partito, non sa letteralmente come uscire. Dal canto nostro, non possiamo che ricordargli che l’unica via d’uscita – anche per programmare, alla soglia degli Ottanta, un ritiro dignitoso – sia quella di contribuire a rifondare, creandone le condizioni, un soggetto rappresentativo dei moderati capace di allearsi con il Pd. Sapendo che la strada di Salvini è tracciata e porta altrove. Dove? Ma ad un’alleanza strutturale, fino alla fusione, con i grillini.
Specie ora che sono rimasti orfani del loro vero “padrone” – la definizione non è dispregiativa, segnala uno stato di cose sia sotto il profilo giuridico che politico incontrovertibile – i pentastellati sono davanti ad un quadrivio: trovare al loro interno il leader politico che non hanno mai avuto, con il rischio concretissimo e già intravisto di una clamorosa zuffa di tutti contro tutti; arroccarsi intorno a Grillo, che però sta dando segni di stanchezza per continuare a recitare un ruolo che non è suo, e a Casaleggio jr, la cui figura, tuttavia, esalta il meccanismo della successione dinastica in una situazione che già era paradossale, per opacità e perché impropria per una forza politica (usare la parola movimento non aiuta); disgregarsi, dividendosi in vari rivoli; cercare fuori dall’attuale perimetro un ancoraggio nuovo ma capace di mantenere il tratto anti-sistema su cui hanno fatto la loro fortuna elettorale. Sulla base di nostre informazioni, possiamo dirvi che a suo tempo Gianroberto Casaleggio, molto più spregiudicato e disincantato che visionario e profeta come l’eccesso di cordoglio gli ha voluto tributare (francamente quel “protagonista politico innovativo e appassionato” il presidente Mattarella se e ce lo poteva risparmiare), si era mosso per favorire la quarta delle opzioni che vi abbiamo descritto. E lo aveva fatto nella direzione del Salvini lepenista, anti-euro e sfacciatamente insultante nei confronti del Capo dello Stato come di Papa Francesco. Che poi si potesse, e si possa, trattare di un’opa ostile o amichevole, e che a lanciarla sia la Lega sul M5S o viceversa, questo era e rimane materia da vedere, a seconda dei rapporti di forza e delle circostanze. Un bel PUPI, “partito unico del populismo italiano”. Che, d’altra parte, è già nei fatti. Basti vedere il dibattito dei giorni scorsi sulle mozioni di sfiducia al governo: tra grillini e salviniani erano percepibili solo insignificanti sfumature. La pensano allo stesso modo su Renzi e il Pd, sui partiti da cancellare dalla faccia della terra, sul ruolo salvifico della magistratura manettara, sul ruolo delle banche che per definizione fottono i risparmiatori, sull’euro da riconcambiare con le monete nazionali e sugli immigrati da cacciare. E Salvini con la Le Pen e Casaleggio con Nigel Farage sono in grado di combinare l’alleanza di tutti i nazionalisti europei. Un fronte anti-sistema, se non proprio sovversivo.
Ma se questa è la direzione di marcia di Salvini, francamente a Berlusconi – che già porta con sé la quota parte maggiore della responsabilità della catastrofe generata dalla Seconda Repubblica, cui si aggiunge quella di non né saputo né voluto preparare la propria successione – non resta che evitare una tale deriva. Probabilmente, se lo farà, sarà più per dimostrare che senza di lui il vecchio centrodestra è impotente, fuori dai giochi. Ma pazienza. Ciò che importa è che abbia un sussulto di amor proprio, di buonsenso e anche di capacità di leggere dove vanno i suoi interessi imprenditoriali e finanziari, come gli suggerisce saggiamente Fedele Confalonieri. Si legga l’ottimo Paolo Pombeni sul Sole 24 Ore, si allei con Marchini – poco importa se per il Campidoglio, c’è il futuro della politica nazionale da costruire, e Alfio può essere prezioso e spendibile – e si metta al servizio di un progetto che abbia come obiettivo finale condizionare Renzi per evitare che ci lasci nelle mani del PUPI.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.