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L'editoriale di TerzaRepubblica

Se Renzi dialoga con Grillo

CHE SISTEMA POLITICO E' QUELLO IN CUI RENZI DIALOGA CON GRILLO?

07 marzo 2015

Chi si accontenta (non) gode. Fateci caso: coloro che oggi s’accalorano per qualunque annuncio di riforma, specie se di natura costituzionale, prescindendo completamente tanto dalla bontà dei contenuti quanto dalla effettiva realizzabilità, o che salutano con enfasi le presunte aperture di dialogo di una forza necessariamente autoreferenziale come il movimento 5 stelle e di un leader esclusivamente dedito al dileggio come Grillo, sono gli stessi che ieri s’accontentavano del bipolarismo armato, definendolo pudicamente “imperfetto”, pur di poter affermare che finalmente era arrivata la tanto agognata alternanza di governo. Ieri come oggi, costoro sbagliano di grosso. Certo, è vero, siamo di fronte a ritardi mostruosi nell’evoluzione del Paese e delle sue istituzioni, così come lo eravamo all’inizio degli anni Novanta quando la Prima Repubblica si fece decapitare. Ma così come ai guasti di allora non fu opportuno – e il senno di poi ce lo conferma pienamente, ahinoi – replicare adottando un modello di sistema politico non funzionale all’Italia, e per di più difettoso, così oggi non è accettabile che si applichi lo schema “purché qualcosa cambi” e si accetti qualunque cosa a scatola chiusa. Lo abbiamo già detto e lo ribadiamo: è molto importante ridurre le disfunzioni del sistema parlamentare, a cominciare dal bicameralismo, ma se la riforma del Senato che in teoria dovrebbe metterci rimedio è sbagliata, fino al punto di rischiare seriamente di peggiorare le cose, perché dovremmo essere contenti di vederla andare in porto? Per il solo fatto che così “finalmente cambia qualcosa”? Eppure il nostro amico Angelo Panebianco, così come ieri plaudiva al bipolarismo “purchessia”, oggi scrive sul Corriere della Sera che “si può pensare tutto il male possibile” delle riforme di Renzi “ma gli va comunque dato atto del fatto che sta cercando di sconfiggere il conservatorismo costituzionale”. Come pure, aggiunge sempre Panebianco, “si possono anche fare le bucce al jobs act ma si deve riconoscere che lo scontro tra Renzi da un lato e la Cgil e la sinistra del Pd dall’altro non è una pantomima, è un conflitto vero”. Mentre secondo noi in questo caso la valutazione da fare è diversa: bene la legge nel suo complesso, male alcuni contenuti, falso che sia in grado da sola di riassorbire in modo significativo la disoccupazione e, tantomeno, che inneschi crescita economica. Possibile che non si possa mai entrare nel merito delle cose?

E certamente non entra nel merito chi, come Aldo Cazzullo sempre sul Corriere, guarda con compiacimento al fatto che i pentastellati si sono finalmente resi disponibili a parlare con il prossimo. Sai che vantaggio! Ma quale contributo potranno mai dare parlamentari – compresi i transfughi, che non sono diventati migliori per il solo fatto di aver mollato la ditta Grillo & Casaleggio – che sono stati selezionati ed eletti intorno a parole d’ordine come (chiediamo scusa) “vaffanculo”? Se nel dna politico grillino non c’è altro che il populismo, che cosa immaginiamo possa sortire da un dialogo tra loro e il Pd? Si dice: ma così si ascolta quel quarto di elettori votanti che, arrabbiati, hanno trovato nei 5 stelle una valvola di sfogo alla loro sfiducia. Già Bersani fece questo macroscopico errore politico, pagandone un prezzo altissimo, non si capisce perché ora ci si dovrebbe ricascare. Stessa cosa sul fronte opposto: se i moderati e i centristi si faranno prendere dal desiderio di salire sul carro vincente di Salvini, per il solo fatto che il suo linguaggio truculento crea consenso crescente, non avranno più alcuna credibilità come forze di governo e faranno così un pessimo affare.

Tutto questo, però, segnala che oggi come ieri, a distanza di più di vent’anni dalla fine della Prima Repubblica, la politica italiana non ha ancora trovato un equilibrio stabile e una modalità che renda efficace le istituzioni attraverso cui si esprime. Non sono bastati il lungo declino e la drammatica fase recessiva a indurre il sistema politico ad autoregolarsi e rinnovarsi. Abbiamo abbracciato il bipolarismo come un’ideologia, idolatrandolo, per poi scoprire (tardi) che non funzionava e faceva per noi. Siamo entrati in una stagione (necessaria) di larghe intese e subito abbiamo bruciato due governi e un turno elettorale. Ora con Renzi asso pigliatutto stiamo cercando un assetto durevole, ma saltabecchiamo dal patto del Nazareno (necessario ma limitativo e non prorogabile all’infinito) al tutti contro tutti, specie dentro il partito pigliatutto, con improbabili dialoghi con opposizioni sterili. Nel frattempo i ministri e il consiglio dei ministri non esistono più, nel senso che il potere decisionale è letteralmente azzerato, le funzioni fondamentali vengono sempre più accentrate a palazzo Chigi (il che in sé non è un male, anzi) ma la macchina burocratica del governo non ha le risorse, le persone e le competenze per svolgere ruoli supplettivi di ministeri decisivi, come per esempio l’Economia.

Il decisionismo di Renzi, dopo tanto non- governo, è sicuramente un fattore positivo. Ma il dinamismo non può essere fine a se stesso, così come il merito dei provvedimenti che si prendono (o vogliono prendere) non è indifferente. Ma, soprattutto, è un errore fatale pensare di poter prescindere dalla ridefinizione del sistema politico, e delle regole che lo governano, e dalla preventiva ristrutturazione della macchina amministrativa di palazzo Chigi e dei ministeri. Da Renzi attendiamo parole precise su queste che sono le pre-condizioni per il funzionamento reale del suo come di qualunque altro governo della Repubblica.

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