Aiuto, l'Italia senza tracciamento
Verso la fase due, ancora senza localizzazione
di Luciano Ricci e Massimo Pittarello - 14 aprile 2020
Fase due? Si ma come? È bastato un po’ di sole e bel tempo, che il lunedì di Pasquetta si è toccato il record di multe per spostamenti non autorizzati (16.000). Tra poco, quando le limitazioni verranno allentate e si tornerà a circolare, come verranno regolati e controllati gli spostamenti?
Il governo sta accelerando sullo sviluppo di un’App da installare sui cellulari per la lotta al contagio da coronavirus. Ma, a parte aver chiamato 74 esperti (settantaquattro….), non sappiamo ancora di che genere e di che tipo sarà quest’App. A differenza degli altri Paesi (come abbiamo illustrato negli articoli precedenti), dove invece il sistema funziona già, adesso, egregiamente. A quanto trapela dal Ministero dell’Innovazione dovrebbe essere “volontaria”, ma dalla task force guidata da Colao per indirizzare la fase due, già fanno sapere che non è abbastanza. Questa App si basa sul data tracing per consentire di verificare la frequenza degli spostamenti delle persone, il rispetto delle regole del lockdown e la distanza interpersonale. Il garante della Privacy ha auspicato “la volontaria attivazione di un’App funzionale alla raccolta dei dati sull’interazione dei dispositivi”. Inoltre, ha individuato un intervento di legge attraverso un decreto ad hoc, o per lo meno l’integrazione dell’art.14 dl 14/20 per prevedere misure di garanzia eventualmente con fonte subordinata.
Un altro requisito sul quale la task force sta lavorando è la non conservazione dei dati in database, ma verrebbe preferita la conservazione direttamente sugli smartphone dei cittadini. L’identificazione dei soggetti sarà consentita soltanto nel caso di positività al virus, mentre in tutti gli altri casi i dati verranno subito cancellati. Per la raccolta dei dati verrebbe preferita la tecnologia Bluetooth, che restituisce dati sulle interazioni più strette di quelle individuabili nelle celle telefoniche, questo consentirebbe di selezionare i possibili contagiati all’interno di un campione più attendibile perché limitato ai contatti significativi. Il periodo di conservazione di questi sarebbe parametrato secondo il periodo di incubazione del Covid-19.
Il cittadino una volta risultato positivo dovrebbe fornire l’IMEI (il codice di identificazione fisico) del proprio cellulare all’ASL che lo trasmetterà al server centrale e tramite un algoritmo ricostruirebbe i contatti avvenuti con altre persone. Queste infine verrebbero allertate dal sistema del potenziale contagio, invitandole a sottoporsi ad accertamenti. Il garante stima l’efficacia di questa tipologia di App nell’ordine del 60%.
Siccome non bisogna perdere tempo, diciamo subito che, ad oggi, in Italia sono disponibili diverse soluzioni:
- la soluzione del Centro Medico Sant’Agostino utilizza il GPS ed alcuni sensori presenti sul dispositivo. E’ una applicazione che richiede l’autorizzazione da parte dell’utente per l’installazione e serve per monitorare gli spostamenti effettuati da una persona positiva e di rintracciare ed avvertire coloro con cui ha avuto contatti prima del contagio. Offre anche una funzione di diario clinico per riportare le proprie condizioni di salute durante la quarantena ed una chat dedicata per i servizi di comunicazione tra clinica e paziente.
- La soluzione dell’università di Pisa è basata su una App installata come nodi attivi nei luoghi pubblici (mezzi di trasporto, aziende, negozi, uffici pubblici, etc.) monitora tramite Bluetooth tutti i dispositivi passivi ed anonimizzati dei cittadini (smartphone, bracciali, orologi ,etc. ). I cittadini positivi devono mandare ad un centro raccolta l’ID del loro Bluetooth che andrà a popolare una mappa pubblica di tutti i luoghi in cui sono stati, riportando data ed ora così da poter verificare se vi sono stati possibili contatti.
- La soluzione del MIT di Boston sfrutta la combinazione di GPS e Bluetooth ed avvisa l’utente nel caso di un contatto con una persona positiva, garantendo la protezione dei dati. La particolarità di questa soluzione è che i dati non vengono salvati centralmente ma sul dispositivo locale. Un paziente positivo consenziente, che ha installato questa App, scarica i propri dati su un server criptato che alimenta una mappa di dati aggregati consultabile dagli utenti che hanno a loro volta scaricato l’App. Soltanto chi ha incontrato una persona positiva riceverà una notifica con l’indicazione del giorno, data ora e durata dell’incontro.
Bisognerà decidere in fretta quale App adottare a livello Italiano e come costituire una base dati comune su cui aggregare i dati personali di tutti i cittadini in forma anonima. Qualcuno suggerisce che si potrebbe copiare dal modello adottato in Russia, in cui l’autocertificazione cartacea viene sostituita da un QRCode, aiutando così la diffusione dell’utilizzo dell’App con la necessità di giustificare gli spostamenti. Questo supererebbe, in parte, il problema dell’utilizzo su base volontaria.
Infatti, in un paese con una popolazione anziana molto elevata, la via digitale della comunicazione PA/cittadino doveva essere preparata con largo anticipo, istituendo un canale di comunicazione tramite un’App o un portale del cittadino con le istituzioni al fine di abituare/fidelizzare il cittadino stesso tramite l’erogazione di servizi utili. Quante occasioni ci siamo fatti sfuggire per realizzare un’App che conservi sul dispositivo i documenti digitali dell’utente, le identità digitali e le chiavi di accesso ai diversi servizi della PA, un portale dei servizi stessi, un’agenda con le scadenze dei pagamenti nei confronti della PA, un canale di informazione al cittadino ed un canale di contatto in caso di necessità di chiarimenti….
Negli anni passati sono stati distribuiti alla nazione la SPID, la nuova carta di identità elettronica, la carta regionale dei servizi, le carte di credito su cui sono stati caricati i sussidi statali (come quello di “Renzi” oppure il reddito di cittadinanza). Tutti servizi dedicati ad una grande platea di cittadini sviluppati in modo non integrato. E questo ha ostacolato la costruzione di quel tassello importantissimo che è il contatto diretto con il cittadino. Se solo avessimo sviluppato un portale di servizi della PA potremmo rilasciare ora in modo automatico a tutti questa App specifica per il coronavirus. Cosi da riaprire gradualmente ed in modo controllato. Se solo avessimo un progetto di ampio respiro che guardi al futuro potremmo avere investito non su singoli provvedimenti, figli di uno specifico governo, ma in modo programmatico sul rapporto cittadino / PA.
Speriamo, per questo, che si proceda con un adeguamento dell’Agenda Digitale del nostro paese e che questa App del coronavirus non resti uno dei tanti investimenti in emergenza che tra un anno nessuno si ricorda più. Per una volta, dovremmo imparare dagli errori, come non abbiamo mai fatto.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.