Occasione smart working
Lavoro agile, alla Pa mancano gli strumenti intellettuali e tecnologici
di Enrico Cisnetto - 15 marzo 2020
Oltre alle buone intenzioni, agli annunci, perfino alle leggi, per il lavoro agile servono gli strumenti. Prima di tutto quelli tecnologici. In tempi di epidemia da coronavirus, infatti, lavorare da casa è, per quanto possibile, un imperativo. Alcune aziende private, specialmente al Nord, hanno iniziato da un paio di settimane, altre si sono accodate volontariamente, altre per obbligo. E quasi tutte, pur trovandosi di fronte ad una modalità diversa da quella consueta, hanno sufficiente dotazione tecnologica per portare avanti con successo modalità di lavoro a distanza.
Purtroppo, non si può certo dire lo stesso per la Pubblica Amministrazione che, come ha detto qualche mese fa la Corte dei Conti, sconta ancora un “ritardo eccessivo”. E, come emerso questa settimana, è impreparata. Solo il 20% dei lavoratori, infatti, ha finora adottato il lavoro agile, con picchi negativi nelle zone più colpite dal virus. Da un lato per esigenze di sicurezza dei lavoratori, dall’altra per non paralizzare del tutto l’apparato amministrativo, il governo sta giustamente tentando di introdurre il lavoro a distanza anche negli uffici pubblici, prima con una direttiva e poi nell’ultimo decreto. Tuttavia, le malattie colpiscono più ferocemente sempre chi è più debilitato. E certo la salute tecnologica della PA non è delle migliori. Pensate che una settimana fa, per chi tornava dalle zone a maggiore contagio del Nord, nel Lazio è stato istituito un numero verde, come fossimo nel millennio scorso. Numero che, ovviamente, era sempre irraggiungibile. Poi, è bastato aprire ad una autodichiarazione online ed ecco il problema risolto. È la prova che mancano proprio gli strumenti, intellettuali prima ancora che materiali, per rendere più moderna e più agile la macchina amministrativa. Che si contraddistingue per una logica eccessivamente burocratica sommata ad una strumentazione troppo analogica e poco digitale. Tanto è vero che secondo l’Eurostat siamo 19esimi tra i Paesi dell’Ue per uso delle tecnologie da parte della PA.
Insomma, ci sarebbe davvero da lavorare, magari trasformando questa crisi in un’opportunità. Per adesso, invece, si parla solo dell’ammontare delle risorse da mettere a disposizione, ma poco o nulla di come destinarle. E si potrebbe fare anche con costi ridotti visto che, secondo la magistratura contabile, già si spendono – evidentemente male – quasi 6 miliardi l’anno per la digitalizzazione della PA.
Cosa fare? Prima di tutto, superare la frammentazione degli uffici, gelosi delle loro competenze e spesso non in comunicazione tra loro, così da dotarli di sistemi informatici il più possibile univoci. E poi supportare lo sviluppo dell’identità digitale, oltre a sostenere la formazione del personale e a disincentivare l’uso della carta (il processo civile, per esempio, è ancora in gran parte cartaceo). Quanti certificati, per esempio, si potrebbero ottenere via email, sul modello dell’home banking? Se e quando usciremo da questa emergenza saremo diversi. Dovrà esserlo anche la pubblica amministrazione. (twitter @ecisnetto)
L'EDITORIALE
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