La cura choc anti virus
Una cospicuo piano investimenti se vogliamo sopravvivere
di Enrico Cisnetto - 01 marzo 2020
Dopo un quarto di secolo di sostanziale stagnazione intramezzato da due pesanti recessioni, già nel finire dello scorso anno stavamo entrando nella terza. Che ora, per effetto del coronavirus (o meglio dalla sua imprudente gestione), rischia di assumere una velocità tramortente e una dimensione drammatica, tanto da scaraventarci in una crisi profondissima. Da cui potremo uscire solo con un’inversione a 180 gradi.
D’altra parte, segnali allarmanti arrivano da ogni dove. In una settimana la Borsa è crollata del 12,3%, lo spread è cresciuto di 40 punti (arrivando a 175), le manifestazioni fieristiche sono state cancellate o rinviate, i pagamenti posticipati, gli appuntamenti annullati. Andiamo verso la paralisi produttiva totale. Il turismo, che vale circa il 10% del pil, è già completamente a zero. Moda, meccanica e automotive sono al collasso, la logistica perde l’80% dei traffici, il traffico autostradale è previsto in forte calo.
Insomma, una situazione da far tremare le vene ai polsi. Anche perché abbiamo già ufficialmente chiuso l’ultimo trimestre del 2019 con un calo dello 0,3% del pil, entrando nel 2020 in negativo dello 0,2%. Tanto che le previsioni di Bruxelles ci assegnavano due settimane fa un misero +0,3%, piazzandoci ultimi a fronte del +1,4% della media europea (+366%). E se allora la banca giapponese Nomura già parlava di un’Italia in “recessione” nel 2020 (dello 0,1%) adesso sono tutti concordi, salvo alcune voci più caute come Bankitalia, nel prevedere un calo tra il mezzo e l’intero punto percentuale (senza contare chi arriva a ipotizzare una perdita fino al 3%).
D’altra parte, quando il mondo cresce, noi siamo fermi, e quando il mondo si ferma, noi arretriamo. E il “venerdì nerissimo” in cui le Borse europee hanno bruciato 310 miliardi di capitalizzazione, che conclude una settimana in cui i mercati mondiali hanno perso più di 5 mila miliardi di dollari, sono il segnale inequivocabile di una frenata globale. Che noi soffriremo più di altri. Innanzitutto, perché abbiamo colpevolmente trascurato di aggredire i nostri problemi strutturali, preferendo dilapidare 48 miliardi di flessibilità concessa dalla Ue in misure come gli 80 euro, il reddito di cittadinanza, quota 100 e altre mance con qualche ritorno elettorale ma nessun effetto benefico sull’economia. E poiché l’impatto negativo di quanto sta accadendo è più sul lato dell’offerta, dell’organizzazione della produzione, che non su quello della domanda interna, c’è il rischio che quando finirà l’emergenza il nostro tessuto produttivo sarà talmente debilitato da rischiare di non riprendersi più.
Ora, se è vero che nell’ideogramma cinese della parola “crisi” è ricompreso anche il concetto di “opportunità”, è evidente che se vogliamo sopravvivere la dobbiamo cogliere. Per cui vanno bene interventi fiscali e contributivi, di sostegno al credito, ammortizzatori sociali e altre azioni “ordinarie” di cui in queste ore si parla. Ma rischiano di essere un’aspirina. Quello che serve è una cura shock di investimenti (anche in deficit) e un piano di ristrutturazione del debito e della spesa pubblica. Altrimenti sarà “recessionevirus”. (twitter @ecisnetto)
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
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