L'impresa di far impresa
Il nuovo codice per le imprese non aiuta, anzi intralcia il lavoro
di Enrico Cisnetto - 23 febbraio 2020
Fare impresa in Italia è un’impresa (quasi) impossibile. Purtroppo, ad ogni passo avanti per aiutare le aziende a crescere, ne corrispondono due indietro. E così, per un letale mix di ideologia antisviluppista sommata all’incompetenza al potere, ogni giorno la vita degli imprenditori diventa sempre più difficile. Questa settimana il Consiglio europeo ha meritoriamente adottato una direttiva per ridisegnare l’Iva per le piccole imprese. L’obiettivo indicato dall’Ecofin è ridurre oneri amministrativi e costi di gestione, aggravi che pesano come una beffa sulla tassa che già bisogna pagare. Ora, a parte che si tratta di norme destinate a chi fattura meno di 85 mila euro l’anno, queste dovranno essere recepite dall’Italia, per cui c’è da essere scettici su tempi e modalità, vista la lentezza delle nostre procedure. Ma intanto, purtroppo, c’è da rilevare come sia passata quasi sotto silenzio l’approvazione del Codice della crisi di impresa, voluta dal Ministro Bonafede, e già ribattezzato “codice per mettere in crisi l’impresa”. La riforma, infatti, cancella il concetto di “responsabilità limitata”, aumentando il rischio per chi si assume un’iniziativa imprenditoriale di dover rispondere con il patrimonio personale e della propria famiglia.
Insomma, se si voleva scoraggiare quei pochi che ancora vogliono misurarsi nelle sfide imprenditoriali, non c’era metodo migliore. E per non farci mancare nulla, si obbligano le srl ad assumere una “sentinella”, un revisore che scongiuri possibili crisi denunciando possibili irregolarità al titolare. Ma in realtà si aggiungono solo altri adempimenti amministrativi e costi, investendo inoltre i singoli di responsabilità penali in cambio di compensi ridotti di qualche migliaia di euro. Vista l’assurdità della regola, non è un caso che solo un’impresa su cinque si sia messa in regola nonostante la scadenza fosse a ottobre scorso.
Sicuramente non avevamo bisogno di ulteriori regole in quella che si può definire come una vera e propria isteria normativa. Secondo la Cgia con queste e altre nuove norme, infatti, si produrrà un aggravio di costi burocratici di 3,2 miliardi di euro. Un fardello che si aggiunge agli oltre 57 miliardi spesi ogni anno dalle aziende per mantenere gli adempimenti burocratici. In ore lavorate, si tratta di più di 60 giorni di lavoro, in percentuale sul pil si arriva all’8%. Il risultato di questo stato di cose è che, nonostante i bassi tassi di interesse e l’elevata liquidità a disposizione, nessuno va più a chiedere un prestito in banca. Secondo Bankitalia questi sono scesi dell’1,9% a dicembre, in aggiunta sul -2% del mese precedente. Ma non c’è da stupirsi, perché voler investire in un paese come questo è roba da pazzi.
Eppure, non possiamo fare a meno delle imprese, perché sono quelle che creano ricchezza, pagano stipendi, diffondono benessere. E allora sarà il caso di invertire la rotta e finirla con questa ideologia che dipinge ogni imprenditore come un malfattore e ogni profitto come sterco del demonio. Altrimenti il passaggio dalla stagnazione alla recessione sarà inevitabile. (twitter @ecisnetto)
L'EDITORIALE
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