Mal comune tra Italia e Germania
Anche la locomotiva tedesca ora è in frenata ma l'Italia non ha molti motivi per consolarsi
di Enrico Cisnetto - 16 febbraio 2020
L’ombra di una nuova recessione si allunga sull’Italia, e noi come sempre diamo la colpa agli altri, facciamo finta che esistano solo i fattori esogeni (l’ultimo è il coronavirus e le sue conseguenze economiche globali), ci consolarsi con la logica del “mal comune” trascurando che comunque stiamo peggio di tutti. Negli ultimi tempi, poi, è molto gettonato il ritornello “Italia e Germania pari sono”, presupponendo che le difficoltà congiunturali dei tedeschi valgano quanto quelle strutturali italiane. Bugia che si presume voglia essere consolatoria, e che invece è maledettamente fuorviante. Perché i due paesi avranno anche qualcosa in comune, come la vocazione manifatturiera, ma anche profonde e molteplici differenze, purtroppo tutte o quasi a nostro sfavore.
Prendiamo le ultime previsioni economiche della Commissione europea. Per l’Italia è stimata una misera crescita dello 0,3% nel 2020 e dello 0,6% nel 2021 (e speriamo che sia davvero così, perché molti segnali fanno temere il peggio), il che ci posiziona ancora una volta ultimi tra i paesi dell’Unione. La Germania, insolitamente penultima, dovrebbe comunque raggiungere il +1,1% sia quest’anno (cioè il 266% in più di noi) che il prossimo. Ad allargare l’inquadratura la scena non cambia. Non solo perché siamo ancora 5 punti di pil sotto i livelli pre-crisi del 2008 mentre loro sono sopra di 13, ma anche perché negli ultimi 20 anni la crescita di Berlino registra un complessivo +26,5%, mentre a Roma si ferma a +4%.
E anche in un contesto internazionale difficile i tedeschi non devono allarmarsi più di tanto. Per Moody’s, infatti, pur restando la crescita tedesca relativamente debole, l’economia è ancora “molto ricca, grande e altamente competitiva”. Ed è evidente che non si può dire lo stesso di noi. Inoltre, il rapporto debito/pil tedesco continua a scendere rapidamente, mentre da noi sale ininterrottamente e la politica di bilancio tedesca è prudente mentre noi spendiamo in deficit senza fare crescita. Infine, la Germania è a basso rischio in caso di eventi negativi, mentre il nostro indice di resilienza è al punto più basso dei 31 paesi Ocse (dati Swiss Re e London School of Economics).
Ma c’è da essere preoccupati anche a guardare la manifattura. Tra Italia e Germania le filiere sono interconnesse e interdipendenti, a cominciare dal settore automotive. E, infatti, il ciclo negativo tedesco ha avuto ricadute sul nostro, che però con -1,3% ha avuto un “anno nero”. Insomma, se loro hanno frenato, noi siamo crollati. E mentre loro hanno cercato di adeguarsi e risollevarsi, noi abbiamo sospeso Industria 4.0, abbiamo zavorrato e impaurito le imprese con plastic tax e sugar tax, abbiamo lasciato che una stramba ideologia anti-industriale si impossessasse del Paese. E mentre i tedeschi riconvertivano la propria industria, noi l’abbiamo lasciata invecchiare.
Italia e Germania saranno anche paesi simili, giunti entrambi tardi all’unificazione, entrambi sconfitti nell’ultima guerra, entrambi democrazie parlamentari senza (più) uomini forti, entrambi a centralità manifatturiera. Forse entrambi in difficoltà. Solo che quelle tedesche sono momentanee, le nostre permanenti. (twitter @ecisnetto)
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
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