Rinascita digitale
Allineare l’agenda digitale alla ricostruzione del paese.
di Luciano Ricci - 01 aprile 2020
L’emergenza del Coronavirus ha messo in evidenza le necessità del sistema Italia che sono state trascurate negli ultimi anni. In particolare, ha cambiato il modello di fruizione dei servizi della scuola da lezioni in aula a video-lezioni, della sanità da visite in ambulatorio a telediagnosi, degli enti provvidenziali, scelti come canale di contatto con i cittadini, per la richiesta e l’erogazione delle indennità stanziate dal governo.
Come è possibile che nel 2020 migliaia di lavoratori autonomi, prima di compilare il modulo di richiesta degli indennizzi, non abbiano ancora il PIN di accesso ai servizi digitali?
Per ultimo, ma non certo per importanza, è cambiato il modo di lavorare e, per le aziende che hanno potuto, si è passati dalla presenza negli uffici/siti di produzione allo smart working.
Questo mette in luce che il progresso non può attendere e che, se la popolazione viene chiamata a cambiare le proprie abitudini, devono essere garantite le infrastrutture e le piattaforme abilitanti questo cambiamento. Ancora di più mette in evidenza il ritardo del nostro paese con questo appuntamento. Non possiamo più permetterci un intervento che ha come obiettivo la modernizzazione della pubblica amministrazione senza coinvolgere la realtà industriale e la scuola. C’è l’esigenza di un approccio programmatico che costruisca le basi solide per il futuro.
L’informatica in Italia negli ultimi anni si è trasformata molto, grandi gruppi (pubblici e privati), hanno lasciato spazio alla nascita di tanti piccoli operatori del settore locali, mentre grandi gruppi internazionali hanno esteso la loro presenza. Il mercato richiede quasi quattro volte il numero di addetti specializzati di quello che il mondo universitario e scolastico riesce a formare, mentre le tariffe subiscono un graduale declino premiando solo alcune nicchie specialistiche, come ad esempio la cyber security, l’industry 4.0 ed i big data. In questo scenario le società si contendono le risorse più qualificate, generando un incremento dei salari e forti movimenti sul mercato del lavoro a scapito della continuità di sviluppo e del consolidamento delle competenze.
Nel 2019 è stato concluso da AgiD il censimento del patrimonio ICT che ha evidenziato la presenza di 1252 data center su quasi mille amministrazioni centrali e locali censite, ha rilevato che l’82% delle amministrazioni possiede un data center di proprietà e solo il restante 18% si avvale di servizi di terzi.
Questo approccio non deve portare solo allo sviluppo di un piano di razionalizzazione ma deve essere lo stimolo per delineare un mercato in cui far nascere dei “campioni” nazionali, in grado di consolidarsi anche attraverso acquisizioni di realtà piccole e sostenere alleanze strategiche con player internazionali di tecnologia. Occorre creare massa critica per affrontare questa sfida nei tempi dettati da questo cambiamento e assumere un ruolo rilevante per poter espandersi sui mercati esteri.
Infrastrutture di connettività, cloud, cyber security, big data e competenze ICT sono il pilastro su cui rifondare questo mercato, sostenere la ricostruzione e modernizzazione del tessuto economico e sociale del nostro paese. Sono asset strategici in cui è necessario investire e che vanno tutelati e governati, anche con partecipazioni dirette dello stato, al fine di creare una sinergia tra imprese, PA e Università/Scuola.
Deve potersi ricreare una fiducia reciproca tra PA e imprese superando, una volta per tutte, i rallentamenti dettati dall’incapienza di budget e dalla burocrazia, che porti a lavorare congiuntamente sui diversi fronti ad un unico obiettivo. Deve tornare ad essere un onore servire il proprio paese lavorando per lo Stato.
Servono però anche in questo contesto strumenti innovativi. Gli asset sopra elencati non devono essere dispersi o svenduti ma consolidati in un “Polo Strategico Digitale”, che metta al sicuro tutti i servizi digitali fondamentali per la pubblica amministrazione, consenta di risparmiare miliardi di euro e che diventi una palestra per i nostri neo-laureati e diplomati. Serve uno strumento innovativo che, invece di investire soldi pubblici, favorisca l’investimento delle imprese con la co-partecipazione dello stato tramite la cessione di asset e l’assicurazione di un mercato captive; uno strumento che consenta la co-partecipazione delle università italiane e, finalmente, adegui lo sviluppo degli Istituti Tecnici Superiori (ITS), agli standard Europei. In Germania il bacino degli studenti post diploma superiore di questi indirizzi di specializzazione e di avviamento al lavoro è 30 volte superiore a quello del nostro paese. Questo per invertire l’esodo di cervelli in fuga, investimento molto oneroso per il nostro sistema paese, il cui beneficio va inesorabilmente ad altri.
Luciano Ricci
MISE Innovation Manager
Ethical Trendsetting Ambassador
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
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