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Economia e declino

Stagnazione continua

Il Paese va a picco ma la politica non ne parla

di Enrico Cisnetto - 10 novembre 2019

E la crisi, che fine ha fatto la crisi economica? Nel dibattito pubblico, che si divide tra tragedia e farsa, sembra quasi scomparsa dall’orizzonte della consapevolezza. Da una parte, infatti, se a Taranto rischiamo di perdere decine di migliaia di posti di lavoro, una consistente quota di pil e una produzione fondamentale per il resto della nostra manifattura, la vicenda dell’Ilva assume toni la drammatici molto più sul terreno politico che industriale. Dall’altra, la manovra di bilancio, atto fondamentale della politica economica, inizia l’iter parlamentare tra assurde polemiche sulle tasse su auto aziendali (tanto rumore per 300 milioni di incassi previsti), zucchero (780 milioni), plastica, obbligo del contante (o del pos), senza che ci sia una minima riflessione sulle prospettive dello sviluppo. Così, il Paese va a picco, ma si discute d’altro.

Eppure, al di là dello scontento diffuso, basterebbe guardare ai numeri per accorgersene. La Commissione europea ha tagliato le stime di crescita per l’Unione, ma l’Italia resta un caso a sé. A livello continentale, infatti, si dovrebbe registrare una crescita dell’1,1% a fronte dello 0,1% nostrano. E per l’anno prossimo la musica non cambia: +1,2% a fronte di +0,4%. Triste, anche perché la stessa Commissione a luglio scorso ci attribuiva sette decimi di punto di crescita. Tanto per fare un raffronto, alla Germania, in crisi per i suoi standard abituali e penultima in classifica, si attribuisce un tondo +1%, il che vuol dire il 150% in più di noi. Stiamo messi male, anche perché, mentre 11 paesi su 19 dell’eurozona avranno un pareggio o un attivo di bilancio, il nostro deficit arriverà al 2,3%, un decimale in più rispetto a quanto previsto dal governo appena un mese fa. E non è quindi un caso che, per la prima volta, sul mercato i titoli di stato italiani sono considerati più rischiosi di quelli greci.

Insomma, non solo era immotivato l’ottimismo per un “anno bellissimo”, ma è fondato il pessimismo di Bruxelles. Tanto più che finora ci siamo tenuti in piedi grazie ad un export che, dopo sei mesi di crescita, da luglio in poi è in frenata Complice la guerra dei dazi, Brexit, le tensioni geopolitiche e la debolezza di alcuni Paesi in un sistema totalmente interconnesso, che rendono debole la congiuntura internazionale. Tanto che il Fondo Monetario suggerisce all’Europa di predisporre un piano di emergenza, visto che la frenata è più brusca del previsto. Ma attenzione a dire che la nostra stagnazione prolungata è colpa dei fattori esogeni. Semmai il contrario, dice l’Fmi, secondo cui sono i problemi di Italia e Germania ad aggravare quelli degli altri, con il pericolo che la frenata del manifatturiero contagi gli altri settori.  Tanto è vero che l’Fmi è sulla stessa linea di Bruxelles sulla crescita 2019 e 2020: +1,2% e +1,4% l’Ue, +0,1% e +0,5% l’Italia ultima in classifica.

D’altra parte, anche gli indicatori economici Istat confermano che il ciclo economico permarrà in stagnazione: per il pil 2019 sono già acquisiti solo due decimali, e difficilmente andrà meglio nell’ultima parte dell’anno, visto che risultano in calo anche la produzione industriale, gli ordinativi e gli occupati. Siamo dunque immersi nella crisi, e a guardare la politica incapace sull’Ilva o il ridicolo dibattito sulle tasse etiche, la speranza non è l’ultima a morire, è l’unica sopravvissuta. (twitter @ecisnetto)

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.