Stop alle tasse populiste
L'economia sostenibile la costruiscono le imprese
di Enrico Cisnetto - 03 novembre 2019
Dal letame nascono i fiori”, diceva De André. Ma oltre al lato poetico, dal (ri)ciclo dei rifiuti si può generare valore economico aggiunto, oltre che molti posti di lavoro. Solo che troppo spesso ci preoccupiamo solo di “smaltire” i rifiuti, in discarica o all’estero, mentre servirebbero nuovi impianti di riciclo, trattamento e conversione. Realizzati con gli investimenti privati e delle multiutility, gli unici possibili. Perché se il governo ha annunciato una serie di provvedimenti ambientali – decreto clima, plastic tax, Green New Deal – con un collegato alla legge di Bilancio da cui dovrebbero uscire 50 miliardi in 15 anni di investimenti pubblici da non calcolare nel Patto di Stabilità, e dunque l’intenzione è buona, l’applicazione è invece tutta da realizzare. Il punto è che, al di là dell’ambientalismo da anime belle, la vera economia sostenibile la stanno da tempo progettando e costruendo le imprese, collegando l’ecologia al profitto.
Quello dell’impresa “sostenibile” è una realtà molto più avanti del legislatore e del settore pubblico. Per cui, senza attendere il Godot degli investimenti pubblici, si dovrebbe innanzitutto facilitare quelli privati. L’Italia è già oggi il più importante distretto industriale del riciclo in Europa, con centinaia di aziende, un fatturato complessivo di quasi 56 miliardi di euro (1,1% del pil) e mezzo milionedi posti di lavoro. Un comparto in grado di recuperare 100 milioni di tonnellate di materiali tra metalli, carta, vetro, plastica e impianti di compostaggio che traducono gli scarti organici in fertilizzante o, negli impianti definiti “anaerobici”, metano. Qualche impianto è addirittura in grado di estrarre anidride carbonica che poi finisce nelle bibite gassate. Tuttavia gli impegni che abbiamo assunto a livello ambientale, così come la necessità fronteggiare alcune situazioni critiche, prefigurano la necessità di investire in nuovi impianti almeno altri 10 miliardi entro il 2030.
Operazione non semplice, per la quale servirebbe innanzitutto una rimodulazione degli incentivi, così da porre fine agli effetti distorsivi che talvolta generano (per esempio sul fotovoltaico). E poi si potrebbero estendere i benefici di credito di imposta e superammortamento di Industria 4.0 agli investimenti susistemi e tecnologie di riciclo. Inoltre, sul piano fiscale, è necessario un minimo di programmazione, evitando tasse populistiche come la “plastic tax”, riorganizzando il complesso di norme stratificate in materia ambientale e cercando di orientare le scelte di consumatori e imprese, senza pensare solo agli introiti sicuri. Inoltre, sarebbe utile mettersi già da adesso al lavoro sul prossimo piano di fondi strutturali europei (2022-2027) con progetti di economia circolare e contrasto dell’inquinamento. Molte imprese del settore, poi, chiedono una semplificazione dei percorsi di autorizzazione per le procedure di recupero dei materiali, cioè in un senso opposto a quello in cui vanno le norme cosiddette ‘End of Waste’ appena emendate.
Insomma, è importante non solo che il legislatore non si metta di traverso rispetto alle imprese, ma dovrebbe mandare un segnale chiaro e concreto per indurle a continuare a investire in impianti di recupero, trasformazione e riciclo dei rifiuti. Così da poter dire addio all’economia dell’usa-e-getta. E far nascere fiori dal letame. (twitter @ecisnetto)
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.