Futuro senza paraocchi
I sindacati si spendano per rilancio e innovazione
di Enrico Cisnetto - 29 settembre 2019
I sindacati sono per definizione a tutela di un interesse specifico, quello dei lavoratori. Solo che per troppo tempo hanno difeso una parte della parte, cioè soltanto alcune categorie, dimenticandone altre. Ma con il nuovo governo – che tra i primi atti dal suo insediamento li ha convocati a Palazzo Chigi – hanno la possibilità di tornare a giocare un ruolo cruciale, più complessivo e meno settoriale. Ed essendo il paese inchiodato allo zero virgola di crescita e messo di fronte di fronte alle sfide dell’innovazione e della globalizzazione in un contesto di finanza pubblica che non lascia margini, non possono più fare la lista della spesa, ma devono cominciare ad aiutare la politica – che ne ha davvero bisogno – a definire una strategia di rilancio.
Insomma, i sindacati dovrebbero contribuire a far ripartire l’intero mondo produttivo con idee e proposte erga omnes. Per cui, prima di chiedere la proroga della nefasta “quota 100” o esigere adeguamenti previdenziali, dovrebbero pensare a tutti coloro che il lavoro nemmeno lo trovano. Siano essi giovani (il cui tasso di disoccupazione sfiora ancora il 30%), o coloro che il lavoro l’hanno perso e che, complice la rapidità con cui evolvono i processi produttivi, fanno fatica a ritrovarlo. Senza dimenticare gli atipici, i gig workers, i rider e tutti quei mestieri che fino a qualche anno fa non esistevano e che oggi non hanno ancora una chiara e definita protezione giuridica e sociale. E senza contare quei lavoratori, magari a partita Iva, che per un’anacronistica distorsione ideologica sono da tempo considerati di serie B e non godono delle tutele di un sistema di welfare che è invece costruito per le crisi delle grandi aziende (vedi cassa integrazione) e non è stato adeguato alla trasformazione del tessuto produttivo. Allora, piuttosto che al reddito di cittadinanza, si dovrebbe pensare ad un sistema di welfare universale, moderno ed equilibrato, senza disparità di trattamento tra autonomi, dipendenti o atipici.
E, last but not least, c’è la fondamentale questione tecnologica, terreno su cui oggi si crea sia lo sviluppo che il lavoro. Ma su cui siamo indietro. Secondo Eurostat, solo Bulgaria, Romania e Grecia hanno un tasso di innovazione peggiore del nostro, con il ritardo che riguarda in particolare l’automazione della produzione e un limitato sviluppo delle reti di telecomunicazioni di nuova generazione. Eppure, circa 7 milioni di posti di lavoro, uno su tre, si trova nell’industria che fa un uso intensivo di marchi e brevetti. Fortunatamente una parte dei sindacati ha lavorato attivamente per costruire un sistema di relazioni industriali che possa favorire la formazione continua, lo smart working, l’evoluzione tecnologica. E di conseguenza la competizione delle nostre aziende nell’agguerrito contesto internazionale. Con diversi successi raggiunti dalle imprese più innovative e che esportano. In particolare, ha ragione Marco Bentivogli della Fim-Cisl quando dice che bisogna combattere la tecnofobia, perché se anche le tecnologie rendono obsoleto qualche posto di lavoro, ne creano molti altri, migliori e più qualificati. Bisogna invece cavalcarle. Per questo è bene che i sindacati abbiano un ruolo attivo nel tracciare la linea di politica economica del nuovo governo, ma è altrettanto fondamentale che lo facciano senza i paraocchi ideologici del passato. (twitter @ecisnetto)
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.