L'Italia che invecchia
Per le pensioni nuova riforma in vista del buco demografico
di Enrico Cisnetto - 08 settembre 2019
Consiglio (non richiesto) al neo ministro del Welfare, Nunzia Catalfo: studi il recente documento dell’Ocse in cui si pronostica che per via dell’invecchiamento demografico entro il 2050 il numero dei pensionati italiani sarà superiore a quello dei lavoratori, per cui se oggi ci sono 67 pensionati per ogni 100 lavoratori, per quella data si arriverà a 105,7. Si dirà: ma da qui al 2050 mancano oltre 30 anni. Vero, ma già ora siamo ultimi nel rapporto lavoratori-pensionati, superati anche da Polonia e Grecia. E in un impianto previdenziale a ripartizione come il nostro, dove gli assegni dei primi vengono pagati dai contributi dei secondi, la sostenibilità economica e sociale del sistema diventa impossibile. Tragedia che si può evitare solo se si agisce preventivamente. Cioè adesso. Con scelte che bisogna fare e altre assolutamente da evitare. Tra queste ultime, quota 100, sui cui il nuovo governo dovrebbe intervenire non perché era la misura della Lega e nemmeno solo per i 18 miliardi di risparmi (12 con il solo restyling), ma soprattutto per gli effetti negativi che produce sul mercato del lavoro e per quelli distorsivi e iniqui sul sistema previdenziale. In una società che invecchia, infatti, pensare di ripristinare misure che già decenni fa – quando eravamo mediamente più giovani, con lavori più stabili e con tassi di crescita più alti – erano al limite della sostenibilità, è assolutamente sbagliato. E noi siano il secondo paese più vecchio al mondo dopo il Giappone e ultimi in Europa sia per tasso di fecondità (una media di 1,32 figli per donna) che per rapporto tra giovani e anziani, con soltanto 100 “under 15” per 168,9 individui con più di 65 anni.
Allora, non solo non va smantellata la riforma Fornero, che ci ha soltanto salvato in zona Cesarini dal dissesto, ma occorre andare oltre. Perché il “buco demografico” che si verrà a creare a causa dell’invecchiamento sarà pari a circa 6 milioni di lavoratori in meno, a cui bisogna aggiungere il fatto che il nostro tasso di occupazione è il più basso d’Europa (Grecia esclusa), e che il mercato offre lavori sempre più intermittenti e quindi contributi previdenziali sempre più ridotti. Per cui pensare di accorciare l’età lavorativa in modo generalizzato è sbagliato non solo dal punto di vista dei conti pubblici, ma anche rispetto alla curva demografica in atto. Piuttosto, all’allungamento della vita deve corrispondere un miglioramento delle sue condizioni. In primo luogo nel mercato del lavoro, con misure volte a rafforzare gli (scarsi) incentivi a continuare a lavorare in età avanzata specialmente per alcuni mestieri e professioni non usuranti. Ma poi anche spingere le aziende ad assumere e trattenere i lavoratori over 50 soprattutto tramite una maggiore flessibilità nell’orario di lavoro, per esempio usando il part-time come scivolo verso la pensione. E poi procedere a grandi passi verso un maggiore ricorso alla previdenza complementare integrativa, quindi a capitalizzazione e non a ripartizione.
Visto che il numero di over 65 nel mondo raddoppierà entro il 2050, il tema dell’invecchiamento attivo (active ageing”) è già ampiamente affrontato a livello internazionale. Il nuovo governo intende continuare a pensare solo al presente limitandosi a coltivare la rendita elettorale? O preferisce guardare al futuro? Perché se sì, basta copiare. (twitter @ecisnetto)
L'EDITORIALE
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