Una cura per il Paese
Serve un patto per la ripresa con banche e assicurazioni
di Enrico Cisnetto - 14 luglio 2019
Un fortunato sincronismo ha fatto coincidere l’assemblea dell’Ania del suo 75mo anniversario dalla fondazione e quella dell’Abi centenaria. In entrambe le circostanze, segnate non casualmente dalla presenza del Capo dello Stato, si è potuto respirare – finalmente – un clima di ponderata fiducia sulle possibilità che l’Italia ha (avrebbe) di risalire la china, non fosse altro perché si è rinunciato alla solita esibizione muscolare del “tutto va bene, e quello che va male è colpa dell’Europa matrigna”, a favore di un concreto esame dei problemi e delle possibili soluzioni. Sì, forse la classe dirigente del Paese, rappresentata dalle platee, di Ania e Abi, si è scossa dal torpore e dall’acquiescenza. In fondo, banche e assicurazioni sono il cuore del nostro sistema economico, ma soprattutto rappresentano lo strumento indispensabile per costruire quello che ci manca da troppo tempo, una solida e stabile crescita.
Prendiamo le assicurazioni. Come ha ricordato la presidente dell’Ania, Maria Bianca Farina, il settore detiene il 17% della ricchezza finanziaria netta degli italiani ma soprattutto contabilizza 847 miliardi di investimenti – pari a quasi il 50% del pil – di cui il 40% in titoli di Stato con durata media di 6 anni e 7 mesi., cioè oltre 300 miliardi che rappresentano il 15% dell’intero debito pubblico nazionale. Insomma, le compagnie sono determinanti per la nostra sostenibilità finanziaria non diversamente dalle banche, che insieme ai fondi monetari superano i 600 miliardi di Btp in portafoglio.
Basterebbe solo leggere questi numeri per dedurne che è interesse di tutti non solo smettere di esporre il mondo creditizio e assicurativo al pubblico ludibrio come si è fatto in questi anni di populismo sfrenato, ma stringere con loro un patto di ferro. E di un’alleanza funzionale ha parlato esplicitamente la presidente dell’Ania. Per esempio, sostenendo le polizze contro i danni da catastrofi naturali, così da velocizzare i risarcimenti, alleggerire l’aggravio sui conti pubblici e incentivare prevenzione e messa in sicurezza del territorio. Oppure pianificando l’integrazione tra il welfare pubblico e quello di tipo assicurativo. Sia perché 18 milioni di lavoratori sono ancora privi di previdenza integrativa, e sia perchè in ambito sanitario, dove avrebbero bisogno di spazio e in condizioni di parità anche i fondi aperti, se si passasse a un sistema misto si abbatterebbero del 90% i 35 miliardi di spese private. Un approccio mutualistico, quindi, che possa aiutare a ridefinire la necessaria ri-centralizzazione della sanità dopo il fallimento della delega alle Regioni.
Allo stesso tempo le banche – che, come orgogliosamente rivendicato il presidente dell’Abi Antonio Patuelli, hanno compiuto un vero e proprio salto mortale multiplo per affrontare contemporaneamente la crisi, il raddoppio dei requisiti di capitale e gli epocali cambiamenti tecnologici – rimangono, in un capitalismo ancora fortemente bancocentrico come il nostro, sono uno strumento fondamentale non solo per spingere la ripresa ma soprattutto per qualificarla, perché selezionare il credito significa concorrere a ridisegnare l’offerta, tema (di cui si parla poco e niente) molto più centrale della domanda (su cui si sproloquia, buttando soldi) per il turnaround della nostra economia.
Insomma, banche e assicurazioni sono una buona cura per il Paese. Vanno usate. (twitter @ecisnetto)
L'EDITORIALE
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