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Economie d'Europa

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Rigore e sviluppo, l'esempio di Spagna e Portogallo

di Enrico Cisnetto - 07 agosto 2019

C’erano una volta Spagna e Portogallo, i due paesi più depressi, Grecia a parte, del sud Europa. Madrid arrancava, per Lisbona si scommetteva sul default. Oggi, nonostante il rallentamento continentale, l’economia iberica cresce ad un ritmo del 2,4% e quella portoghese dell’1,7%. E non è un fuoco di paglia. La Spagna negli ultimi cinque anni ha collezionato tassi di sviluppo tra i più alti dell’Ue (2014 +1,4%, 2015 +3,6%, 2016 +3,2%, 2017 +3%, 2018 +2,6%, media del quinquennio +2,76%) tanto che già nel 2017 il pil spagnolo aveva più che recuperato livello pre-crisi del 2007. A sua volta il Portogallo, pur crescendo percentualmente meno della Spagna, ha fatto anche meglio, visto che cinque anni fa era invischiato in un doloroso programma di salvataggio, e oggi è prossimo all’azzeramento del deficit (nel 2009 era all’11,2%). Madrid, dopo aver ridotto il disavanzo dall’11% del 2009 al 2,5% dello scorso anno, è uscita due settimane fa dalla procedura di infrazione e sta aggiustando i suoi conti a suon di oculate revisioni della spesa pubblica. Tutto questo si riflette sul grado di fiducia che gli investitori internazionali nutrono. Misurabile con lo spread – a 70 (bonos-bund) e 85 (portog-bund), tre volte e poco meno di tre volte superiore a quello (210) del nostro Btp – e con il rating. Delle tre società maggiori che misurano l’affidabilità, la Spagna gode di due voti A- e di un Baa1, mentre il Portogallo ha l’identica valutazione italiana (due BBB e un Baa3), ma con una tendenza al miglioramento che è opposta al nostro trend.

Ho voluto descrivere la condizione di questi due paesi, che comunque hanno economie non comparabili con quella italiana (quella spagnola ha una manifattura decisamente meno significativa e di conseguenza un livello di export che è la metà del nostro; quella portoghese è grande un quinto), perché la loro storia recente descrive politiche capaci di coniugare rigore finanziario e sviluppo, e i loro trend stridono maledettamente con i nostri. La Spagna, per esempio, già nel 2017 ha superato l’Italia per pil pro-capite a parità di potere di acquisto. E se anche la nostra ricchezza privata resta superiore, il debito pubblico è ben più grande. E Madrid non ha solo salvato le banche quando doveva, prima che la situazione degenerasse, ma ha colto l’occasione per modernizzare le infrastrutture, migliorare la macchina amministrativa, usare meglio i fondi europei e adeguare il mercato del lavoro alla nuova realtà economica. E che dire del Portogallo, che sperimenta da cinque anni una sinistra di governo che funziona? È probabile che il 6 ottobre le elezioni per il rinnovo del Parlamento premieranno il primo ministro socialista Antonio Costa, dando continuità ad un esecutivo che ha dimostrato che se si mettono i conti in ordine, si interviene con politiche anticicliche, si varano riforme coraggiose e si punta sugli investimenti, alla fine i frutti si colgono.

Allora, come si spiegano tendenze così diverse? Non sarà che sbaglia chi da noi sostiene che tutte le nostre sofferenze siano causate dall’Europa matrigna? I vincoli Ue possono anche essere ottusi ed eccessivi – e in una certa misura è così – ma se fanno male, lo fanno anche ai due paesi della penisola iberica. Ecco perchè, pur se salvi dalla procedura di infrazione, dovremmo agire come se lo fossimo. (twitter @ecisnetto)

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.