Allarme export
Guerra di dazi, tensioni e freni: le esportazioni frenano bruscamente
di Enrico Cisnetto - 27 gennaio 2019
Attenzione, allarme export. L’unico segmento della nostra economia che nei dieci anni della doppia recessione è andato bene, crescendo dai 369 miliardi del 2008 ai 450 del 2017, è a rischio frenata. Anzi, considerato il rallentamento globale ed europeo, le tensioni geopolitiche e la crescente guerra doganale, è a rischio crollo. E se così fosse, con terza recessione del decennio che si affaccia minacciosa, per l’economia italiana sarebbero guai seri.
Le note negative arrivano tanto dal mercato interno, cioè quello Ue, quanto da quello esterno. Verso il resto del mondo, infatti, a dicembre si è registrata una brusca frenata, per l’Istat quantificabile in un calo del 5,6% su novembre e del 5% rispetto allo stesso mese del 2017. In particolare, nell’ultimo mese dell’anno scorso la flessione congiunturale riguarda l’energia (-19,2%) e i beni strumentali (-9,5%). Si tratta del quarto mese negativo del 2018, che porta la crescita acquisita a +1,7%, solo un quinto di quanto ottenuto nel 2017 (+7,65%). In pratica, il surplus extra Ue si riduce di più di un quarto (-26,5%), da 39 a 28,5 miliardi.
I mercati di sbocco sono quasi tutti in sofferenza. Per esempio, verso la Turchia, che copre il 2,3% del totale delle nostre esportazioni extraUe, si è registrata, anche complice il crollo della lira turca, una contrazione del 32,9% in termini tendenziali. Verso l’area del Mercosur (da cui il Venezuela è sospeso) perdiamo il 18,7% rispetto ad un anno prima. Si fa sentire anche il rallentamento economico della Cina, che nel mese di dicembre rispetto all’anno precedente perde il 15,2%. In particolare, nel 2018 il settore automotive lascia sul terreno più di un miliardo di euro, con un calo del 62,1%. E certo non è senza conseguenze la crescente guerra protezionistica innescata da Trump: il flusso verso gli Usa, terzo mercato di sbocco dei nostri prodotti (40 miliardi nel 2017), ha invertito la rotta, con una perdita tendenziale del 5,6% nell’ultimo mese del 2018. A maggiore ragione vanno male le cose con i paesi colpiti da sanzioni. La Russia, ma anche l’Iran, visto che il limite temporale di sei mesi all’esenzione italiana dall’embargo blocca l’avvio di ogni progetto stabile e ogni pianificazione. Tanto che l’intero Medio Oriente ha perso il 13,5%.
Insomma, a parte India, Svizzera e Africa del Nord, l’export verso il mondo frena. E anche stringendo l’inquadratura sul Vecchio continente non c’è da stare allegri, considerato che continuano a finire in Europa i due terzi dei nostri prodotti. Per Confindustria, la Brexit mette a rischio 23,1 miliardi del nostro export, che ha nel Regno Unito una fetta pari al 5% del totale. In particolare, corre pericolo l’agroalimentare (cresciuto in media del 7,8% annuo) e bevande (il 12% del nostro export). C’è poi il problema del rallentamento dell’Unione europea, Germania in testa, che nel 2018 potrebbe non superare una crescita dell’1%. I tedeschi sono i nostri migliori acquirenti (56 miliardi nel 2017, il 12,5% del totale), oltre a legare molte delle loro imprese manifatturiere alle nostre. Se frena Berlino, noi inchiodiamo. Se a questo aggiungiamo il rischio che alcuni solidi rapporti commerciali come quello con la Francia, secondo compratore di made in Italy, possano essere incrinati da alcune improvvide dichiarazioni politiche, c’è da essere ancora più preoccupati. (twitter @ecisnetto)
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