Municipalizzate in coma
Una gara per affidare e salvare il trasporto pubblico
di Enrico Cisnetto - 04 novembre 2018
Nel grande arcipelago delle società municipalizzate, la maglia nera spetta al trasporto pubblico locale. Parliamo di poco meno di mille società frantumate come briciole sulla carta geografica – in Francia sono quattro, in Gran Bretagna cinque – che occupano 110 mila addetti e ogni giorno spostano più di 14 milioni di italiani. Secondo un’indagine di Mediobanca relativa al quinquennio 2011-2015 e circoscritta alle maggiori società, il settore ha accumulato perdite, seppure in modo decrescente, per 1,2 miliardi e ha ricevuto risorse pubbliche per 16,8 miliardi.
Capofila delle maglie nere è la romana Atac, la più grande azienda di trasporto pubblico in Italia che, secondo uno studio di Ibl, negli ultimi 9 anni è costata al contribuente (romano ma anche italiano) 7 miliardi perdendo, nell'ultimo biennio, oltre 2 milioni al giorno. Un buco enorme a fronte di un parco mezzi così obsoleto che spesso i bus vanno a fuoco (43 dal 2016 a oggi), e un organizzazione aziendale che vede solo 5mila autisti sul totale di 12mila dipendenti. Tutto ciò consente di erogare un servizio scadente e in via di contrazione, considerato che nel 2017 ha toccato il record negativo di 144 milioni di vetture/chilometro. Tanto che l’azienda alla fine dell’anno scorso è andata in concordato, congelando poco più di un miliardo e mezzo di debiti.
In un contesto del genere, cosa si può concretamente fare? In attesa che la sollecitazione della Corte dei conti a ripensare il perimetro delle funzioni pubbliche trovi orecchie disposte ad ascoltare, il governo ha deciso di offrire alle municipalizzate in difficoltà un “salvagente”, inserito nella manovra di bilancio. Se dovesse passare, si salverebbero le partecipate già inserite nella ‘black list’ di quelle da sopprimere – con bilanci non in regola nell’ultimo quinquennio o con più manager che dipendenti – con l’escamotage del risultato medio in utile negli ultimi tre anni. Ma così il problema non si riesce a risolvere, anzi si rischia di aggravarne le cause. L’alternativa, a Roma, è rappresentata dal referendum – purtroppo solo consultivo, e per di più gravato dall’esistenza di un quorum di partecipazione del 33% – che i radicali e varie realtà civiche hanno promosso. Domenica 11 novembre i romani saranno chiamati ad esprimersi per la messa a gara del servizio di trasporto locale, che non vuol dire automaticamente privatizzazione, ma significa applicare le norme comunitarie e nazionali che prevedono di introdurre il principio di concorrenza, così da affidare il servizio alla proposta migliore, spezzando il vincolo – malato – dell’affidamento diretto, che fin qui ha prodotto risultati disastrosi. Peccato che il Campidoglio, dopo aver scelto di prolungare il contratto di servizio con Atac dal 2019 al 2021 senza gara, ora cerchi di boicottare il referendum, pur essendo i 5stelle gli assertori della “democrazia diretta” (prima dell’ultima campagna elettorale erano anche a favore della messa a gara).
Eppure, all’estero lo strumento delle gare ha funzionato. Secondo uno studio dell’Università Cattolica, nei land tedeschi, dove è stato fatto, la produttività è cresciuta e i passeggeri delle ferrovie sono aumentati del 30%. Insomma, non si tratta di “svendere”, ma di liberalizzare spezzando l’anacronistico e nefasto legame tra queste società e le logiche di potere locale. Proviamoci. (twitter @ecisnetto)
L'EDITORIALE
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