Lettera di Toni Concina
di Toni Concina - 15 ottobre 2018
Ho cominciato a lavorare nel 1966 e non mi lamento del percorso professionale fatto.
Da allora ho ovviamente pagato tutti i contributi previdenziali richiesti dall’INPS e tutti gli svariati, periodici, contributi di solidarietà (mai restituiti, come promesso) richiesti nel tempo a chi godeva di una pensione che qualcuno (bravissimo!...) battezzò “d’oro”, probabilmente per invidia. Pensione comunque frutto di calcoli a suo tempo fatti dall’Ente previdenziale e non certamente di una mia violenza a mano armata verso qualche funzionario.
Ho appena compiuto 80 anni e confesso di essere preoccupato per l’ennesimo rigurgito di risentimento, rancore, odio, disprezzo verso i cosiddetti “pensionati d’oro”. Per carità, giusto mettere al rogo chiunque si sia fraudolentemente costruito una posizione privilegiata ma non capisco davvero perché tutti gli altri (beneficiari di trattamenti legittimi) si debbano sentire i colpevoli delle difficoltà della nostra Nazione e delle categorie più svantaggiate e quindi penalizzati con tagli e taglietti magari illegali. Tra l’altro con un beneficio quasi risibile per le casse dello Stato.
Mi sfugge davvero il momento in cui un Soviet nostrano abbia deciso che la ricerca del benessere debba essere osteggiata a tutti i costi, che i diritti maturati nel tempo siano carta straccia e che un giovane pittore “rasta” sia autorizzato a sparare una serie di sciocchezze parademagogiche sull’argomento in importanti trasmissioni televisive.
Tanto per dire, se invece di pagare fior di contributi dal 1966 in poi avessi comprato Bond in giro per il mondo, avrei adesso un magnifico gruzzoletto da parte...
Orrenda difesa di un privilegio personale, lo so e me ne scuso. Ma anche lo sconforto di far parte di una categoria di gente perbene, che per ragioni anagrafiche e di numero non più difesa da nessuno. E quindi maramaldescamente attaccata e vilipesa da un branco di ragazzotti poco seri.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
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