Def in sfida all'Unione
Anche quest'anno i numeri contenuti nel Def saranno smentiti dalla realtà?
di Enrico Cisnetto - 07 ottobre 2018
Negli ultimi anni, i numeri che ogni governo ha scritto nei documenti di programmazione economico-finanziaria sono sempre stati smentiti dalla realtà. I consuntivi, infatti, si sono puntualmente incaricati di dimostrare tanto che erano state sovrastimate le previsioni di crescita del pil, quanto che il livello del deficit risultava sottostimato. Stavolta le cose dovrebbero andare diversamente solo perché questo si è autodefinito il “governo del cambiamento”? Cosa ci può indurre a credere che siamo di fronte ad un Def nuovo e non solo ad un nuovo Def?
Dal 2011 ad oggi (escludendo l’ultimo Def, scritto “a politiche invariate” dal governo Gentiloni dimissionario), su 22 previsioni di rapporto deficit-pil per gli anni successivi, solo una volta la stima si è rivelata esatta: Monti, che nell’anno nero 2012 azzeccò il 2,9% per il 2013. Tutti gli altri Def sono sempre stati troppo “ottimisti”. Con errori non marginali, visto che in media il deficit-pil è stato superiore di 0,86 decimali rispetto a quanto stimato. Per esempio, nei tre Def scritti da Renzi, quelli della narrazione, l’errore medio è sempre stato costantemente superiore al punto percentuale. Ma se anche Letta nel 2013 e Monti nel 2012 previdero per il 2017 un deficit rispettivamente allo 0,7% e all’1%, mentre poi abbiamo chiuso al 2,3% (cioè 25 e 21 miliardi di rosso in più), è difficile non aspettarsi un disavanzo maggiore anche da un governo ideologicamente portato a spingere sulla spesa pubblica come quello pentaleghista. E se applicassimo la forzatura media del passato, come è staticamente lecito fare, nei prossimi tre anni il disavanzo fissato al 2,4% per il 2019, al 2,1% al 2020 e all’1,8% nel 2021 – che già l’Europa considera una inaccettabile forzatura – ce lo ritroveremmo rispettivamente al 3,3%, al 3% e al 2,7%.
Si dice: ma nel rapporto deficit-pil conta soprattutto il denominatore, quindi basterà incrementare la crescita e il maggior pil s’incaricherà di mettere a posto le cose. Musica già sentita, visto che tutti i governi scrivono che l’economia crescerà. E sempre le loro previsioni si rivelano bacate per eccesso. Per esempio, per il prossimo anno si è indicata una crescita all’1,5%, ma proprio in settimana la Confindustria ha ribassato la stima a solo +0,9%, mentre Bankitalia dice +1% e la Commissione Ue +1,1%. E se mezzo punto lo si sbaglia sovrastimando il pil e magari altrettanto sottostimando il deficit, ecco che il gioco dello sforamento a posteriori è fatto e il Def, come denuncio da tempo, diventa il “libro dei sogni”.
Ad onor del vero, però, una diversità con il passato questa volta c’è. Negli altri casi, si scrivevano numeri concordati con Bruxelles, e poi si sforava. Stavolta si è voluto sfidare la Ue apertamente. Perché se si voleva spendere a debito – che non è un crimine, ma lo diventa se i soldi vengono usati per spesa assistenziale (ergo elettorale) – invece di urlarlo scatenando il finimondo sui mercati, non si sono ascoltati quei “cattivoni” dei tecnici ministeriali che conoscono bene il trucco dello sforamento postumo? Tra l’altro, c’è chi sostiene che il verso disavanzo 2018 non sarà l’1,6% previsto, ma il 2,7%: a quel punto, il 2,4% voluto dal governo poteva essere presentata come una “riduzione” e non uno straffottente sforamento. Ma, a quanto pare, qui il principio di realtà è cosa sconosciuta. (twitter @ecisnetto)
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