Più investimenti in manovra
Subito un piano per contrastare la frenata del Pil
di Enrico Cisnetto - 23 settembre 2018
Ci si sta accapigliando sul “quanto” e nessuno si occupa del “cosa”. In vista della nota di aggiornamento al Def che il governo si appresta a varare, il dibattito pubblico e la lotta politica sono esclusivamente concentrati sull’obiettivo di deficit per il 2019, e di conseguenza sulla percentuale del contratto di governo che sarà inserita nella manovra di bilancio. Sul deficit si parte dallo 0,8% già concordato con Bruxelles e si discute se fermarsi all’1,6% annunciato dal ministro Tria – sperando che faccia scendere, seppur di poco, il rapporto debito-pil, o quantomeno che non lo faccia salire – oppure se spingersi fino al limite del 3%, e magari anche oltre. Naturalmente, tanto più alto sarà lo sbilancio tanto maggiore sarà la quota di flat tax, di reddito di cittadinanza e di scostamento dalla legge Fornero che si potrà mettere in campo.
Ora, un incremento del deficit corrente per effetto di politiche assistenziali e di generici vantaggi fiscali, oltre ad esporci sia ad uno scontro con l’Europa, sia ad severo esame dei mercati pronti a punirci con lo spread, da solo non garantisce affatto la crescita, che dovrebbe essere il vero obiettivo della manovra, visto che l’economia italiana vive una delicata fase di transizione, a metà del guado tra una recessione sanguinosa che ci siamo lasciati alle spalle senza però averne ancora, dieci anni dopo, metabolizzato del tutto le tossine, e una nuova stagione dello sviluppo che siamo ben lungi dall’aver afferrato saldamente. In questo momento siamo in pieno rallentamento, come ha certificato l’Ocse, che per l’anno in corso ha tagliato le stime (dall’1,4% all’1,2%), sottolineando come il nostro ritmo sia la metà di quello dell’eurozona. E più passa il tempo, più le previsioni peggiorano.
Dunque, ora più che mai le scelte di politica economica sono dirimenti per sospingere l’Italia verso la riva dell’irrobustimento della ripresa o risucchiarla sulla sponda della decrescita (infelice). Per questo, occorrono ingenti investimenti in conto capitale, non la distribuzione di risorse nella speranza – rimasta vana con gli 80 euro di Renzi – che si trasformano in consumi e quindi in pil incrementale. Tra l’altro, un conto è presentarsi a Bruxelles con un deficit aumentato per modernizzare il Paese, altro è per fare spesa improduttiva.
Purtroppo, però, i due partiti di maggioranza si stanno impiccando alle misure di bandiera con cui hanno conquistato l’elettorato. Tria sta provando a limitare i danni, usando l’escamotage del cosiddetto “avvio delle riforme”, che tende a neutralizzare gli effetti delle promesse senza per questo espungerle dalla manovra. Ma farne una piccola parte, spalmandone l’attuazione su tutti i cinque anni della legislatura, forse serve alla sopravvivenza del governo – ammesso e non concesso che accontenti chi definisce “numerini” i vincoli di bilancio – ma certo non ci evita di riscivolare nella zona grigia della crescita “zero virgola” per poi spalancare le porte ad una nuova recessione. Non è questione di dosaggio, ma di contenuti. Scegliamo l’allargamento della base produttiva attraverso l’adeguamento del nostro sistema produttivo ai paradigmi dell’economia globale e digitale, riqualificando l’offerta e incrementando la produttività, e puntiamo alla modernizzazione della dotazione infrastrutturale del Paese. E poi possiamo anche permetterci di sforare il 3%. (twitter @ecisnetto)
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.