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Per non dimenticare

Leheman Brothers 10 anni dopo

Debiti e derivati possono ancora far saltare il mondo

di Enrico Cisnetto - 09 settembre 2018

Tra pochi giorni saranno passati dieci anni esatti da quel maledetto 15 settembre 2008 in cui, a 13 mesi dalle prime avvisaglie di quella che poi si sarebbe rivelata come la più grande crisi finanziaria dell’ultimo secolo, la storica banca americana Lehman Brothers, dopo oltre 150 anni di vita, è fallita. Nonostante il tempo, quella vicenda resta ancora una ferita aperta, con due domande decisive prive di risposta e una sola certezza. Il primo quesito divide oggi come allora: la Lehman ha chiuso perché era davvero fallita e non si poteva fare altrimenti, o è stata costretta perchè si è voluto applicare il motto “unum castigabis, centum emendabis” o se si vuole la più moderna versione maoista “colpirne uno per educarne cento”? E in questo secondo caso, fu giusto o un errore farlo? In mancanza di controprove la risposta è difficile, ma io resto dell’idea che sia stato un sacrificio utile, perché il probabile effetto domino avrebbe procurato danni ben maggiori.

L’altra domanda è ancor più un dilemma: oggi quante probabilità ci sono che una crisi sistemica di quella portata possa ripetersi? È stato fatto a sufficienza per ridurre il pericolo? A rispondere si corre il rischio o di sottovalutare o di menare gramo. Io, però, non ho dubbi: si è fatto troppo poco, e una riedizione della grande crisi planetaria è dietro l’angolo. Certo, da allora mediamente il capitale delle banche è aumentato di 3-4 volte (con riflessi piuttosto pesanti, almeno in Italia, sulla funzionalità del sistema creditizio), e ciò rende improbabile il verificarsi di un altro caso Lehman. Ma questo è solo un aspetto del problema. Più grave di allora, per esempio, è la situazione dei derivati, visto che nonostante i proclami non si è messo alcun argine alla loro circolazione ed ora nel mondo ce n’è una quantità che si avvicina al milione di miliardi di dollari, dodici volte e mezzo il pil mondiale e 4 volte il debito totale (pubblico e privato), che a sua volta è cresciuto enormemente, se si considera che nel 2007 era 140 trilioni di dollari e ora è ormai arrivato a 250. Insomma, debito e strumenti finanziari sintetici sono una gigantesca, e sempre più grande, bomba che può nuovamente far saltare il mondo, e con conseguenze ancor più pesanti di quelle prodotte dieci anni fa.

Inoltre, troppo poco è stato fatto in termini di standard regolatori internazionali. Paul Volcker, ex numero uno della Federal Reserve, sostiene che negli Stati Uniti il sistema di regolazione delle istituzioni finanziarie “è obsoleto, inefficace e altamente frammentato” e che le poche riforme fatte nelle varie aree monetarie mondiali sono fortemente disomogenee. A ciò si aggiunga che in Europa l’Unione bancaria resta incompiuta, e che di fronte a tutti c’è l’incognita di come le economie reagiranno all’ormai prossima fine della stagione dei tassi zero.

È per questo che dieci anni dopo ci resta una sola certezza: il devastante danno che la recessione seguita al crack finanziario ha prodotto. L’Italia, in particolare, è il paese che – per colpe proprie – ha pagato di più. Danno che è ancora da saldare: rispetto al 2008 il reddito degli italiani è ancora sotto di circa 2500 euro a testa, e la produzione industriale di quasi venti punti, così che il pil potrà tornare anti-crisi non prima di altri cinque anni. La lezione è ancora tutta da imparare. (twitter @ecisnetto)

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.