Forza Merkel
La stabilità della Germania interessa tutti. Anche l'economia italiana potrebbe accusare il colpo
di Enrico Cisnetto - 26 novembre 2017
Siamo obbligati a tifare Merkel. O quantomeno, a sperare che l’accordo con i socialdemocratici si trovi e si riediti la große koalition, evitando il ritorno alle urne con, incredibile a dirsi, mesi di instabilità in Germania e di empasse in Europa. Ma, sia chiaro, non per calcoli o simpatie politiche, bensì in ragione di un sano egoismo: l’economia italiana potrebbe accusare il colpo.
In questi anni difficili le esportazioni sono state il solo e unico traino dell’Italia (+4,5% dal 2010 ad oggi), con le medie imprese che in dieci anni hanno portato dal 33% al 44% la quota di fatturato derivante dall’export. E se nei primi dieci mesi dell’anno le vendite extra-Ue hanno raggiunto i 163 miliardi di euro (+13 miliardi sul 2016), continuano sempre e comunque a finire nel Vecchio Continente i due terzi delle nostre merci, con ben otto paesi europei nella top ten dei mercati di destinazione, di cui la Germania è il primo con quasi 53 miliardi, cioè il 12,6% dei 417 miliardi del nostro export. Non solo, l’economia tedesca è anche la locomotiva d’Europa (il 2017 dovrebbe chiudere a +2,3%), cioè quella che sostiene tutti gli altri mercati di sbocco dei nostri prodotti. Ovvio che se dovesse fermarsi, sarebbero guai – e che guai – anche per noi.
Prima del fallimento delle trattative tra democristiani, verdi e liberali sul governo cosiddetto “Giamaica”, l’indice della fiducia tra le imprese tedesche (IFO) aveva raggiunto il livello record di 117,5 punti. Vedremo se con gli ultimi sviluppi il sentiment sarà cambiato, ma per il nostro export, e più in generale per la nostra economia, anche quella che rimane entro i confini nazionali, c’è da augurarsi di no. È risaputo che la ripresa italiana, oltre ad essere più congiunturale che strutturale, ha fondamenta esogene, nella crescita globale sincronizzata e nelle politiche monetarie espansive della Bce. Anzi, secondo le simulazioni del Centro Studi di Economia Reale, al netto del Quantiative Easing l’Italia sarebbe ancora in recessione dello 0,3% quest’anno, e lo sarebbe stata dello 0,9% (invece di +1%) nel 2016 e dell’1,8% (rispetto a +0,7%) nel 2015. E anche nei prossimi due anni, invece di raggiungere l’1,2% e l’1%, si arriverebbe solo a +0,5% e +0,1%.
Ma i tassi di interesse a zero e il QE non sono stati facili conquiste, ma il frutto di un difficile accordo tra Draghi e Merkel, in base al quale la cancelliera ha un po’ abbaiato (senza mordere) alla banca centrale ma nello stesso tempo ha tenuto a bada i “falchi” della Bundesbank e del suo partito, come il rigorista Wolfgang Schauble. E il “bazooka” monetario non potrà durare a lungo: gli acquisti di titoli sono già stati dimezzati, mentre la già annunciata fine del QE potrebbe coincidere con la scadenza del mandato di Draghi, nel 2019. Ed è allora che potremmo sentire nostalgia della signora Merkel.
Non c’è dubbio che in questa crisi la Germania abbia giocato una partita da “potenza egemone riluttante”, eccessivamente conservatrice, poco incline a investimenti e al binomio redditi-consumi interni, nonostante il grande surplus della bilancia commerciale. E spesso è stata criticata (ingiustamente) perché ha chiesto a tutti i paesi europei, Italia in testa, di rispettare i patti e le regole di bilancio. Ma si può sempre cadere dalla padella nella brace. Ecco perchè l’interesse alla stabilità della Germania non è solo tedesco. (twitter @ecisnetto)
L'EDITORIALE
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