Non solo flat tax
L'imposta unica al 25% è poco praticabile, ma disboscare la giungla dell'Irpef è doveroso
di Enrico Cisnetto - 09 luglio 2017
Odore di campagna elettorale, fiorire di proposte sulle tasse. La più gettonata sembra essere quella dell’Istituto Bruno Leoni presentata da Nicola Rossi: una flat tax unica al 25% sulle persone fisiche, sostitutiva di tutte le altre imposte (Irpef, Ires, Iva, Imu). Essa ha indubitabilmente il merito di spingere verso la semplificazione del sistema tributario, ma pone il problema di come recuperare i 27 miliardi di gettito fiscale complessivo che andrebbe perso. La risposta più ovvia è: tagliamo altrettanta spesa pubblica corrente. Ma a parte il fatto che essa andrebbe sì sforbiciata, ma a favore di almeno altrettanti investimenti in conto capitale, la storia recente ci dice quanto sia difficile, al di là delle chiacchiere, mettere mano alla spesa, e come i vincoli di bilancio imposti dalla Ue siano troppo incombenti per permettersi di far finta di niente. E questo trascurando la pur legittima discussione circa il fatto se, in un quadro di diseguaglianze marcate e crescenti come quello attuale, sia preferibile un fisco “proporzionale” piuttosto che “progressivo”. Dilemma che, peraltro, potrebbe essere risolto introducendo alla flat tax il correttivo di più aliquote per diverse fasce di reddito, e partendo dal presupposto che già ora è prevista l’esenzione totale per i redditi più bassi.
Tuttavia, al di là dell’applicabilità, la proposta di Rossi ha un merito: porre la questione non solo della riduzione del carico fiscale, ma della perniciosità di un sistema di prelievo talmente mal strutturato da renderlo inefficiente e, talvolta, controproducente. Insomma, se rivoluzione ci vuole – e ci vuole – essa deve consistere in una radicale semplificazione del fisco, considerato che attualmente per pagare le tasse bisogna districarsi tra norme confuse, stratificate, spesso arbitrarie, quando non retroattive. Oltre a sborsare tanti quattrini, quindi, il contribuente litiga con scadenze che cambiano, regole che variano, detrazioni, deduzioni e incentivi che incidono sulle aliquote marginali effettive dal -100 al +100%. Una giungla in cui, peraltro, i più furbi hanno gioco facile nell’approfittarsene. E non è un caso che ci siano 20 miliardi di accertamenti effettuati ma che lo Stato non riesca a riscuoterli. Occorre, dunque, introdurre lo scambio “tasse più basse, punizioni certe”. Come? Con aliquote ragionevoli, scadenze chiare, procedure semplici. No cavilli, deroghe, rinvii.
D’altra parte, l’abbandono del redditometro dopo un lungo collaudo, con soli 2 milioni accertati (e non recuperati) nell’ultimo anno, è l’ulteriore prova che la strada percorsa fin qui non porta da nessuna parte. Oltretutto, l’Irpef, come spiega lavoce.info, è oggi una tassa che in Italia funziona male,dove il tasso di evasione è intorno al 13,5% e gli “sconti” (detassazioni, sgravi, ecc) arrivano a 120 miliardi, “una giungla iniqua” e “ingiustamente progressiva” in cui appena si superano i 28.000 euro lordi di reddito, il “ceto medio” arriva a pagare quasi le stesse tasse di un milionario. A questo, poi, si sommano Imu, Irap, Ires, Iva, Tasi, ecc..
Ora, la proposta della flat tax è discutibile e poco praticabile, ma disboscare la giungla dell’Irpef è non solo possibile, ma doveroso. Non solo per i contribuenti italiani, ma anche per gli investitori esteri, che se ci evitano è proprio per colpa della giungla tributaria. (twitter @ecisnetto)
L'EDITORIALE
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