Rottamare il fisco
La politica fiscale di solo rigore non serve anzi è dannosa
di Enrico Cisnetto - 09 aprile 2017
Bene, ma. I primi risultati della rottamazione delle cartelle Equitalia sono migliori delle attese, conseguenza del generalizzato e permanente conflitto tra gli italiani e il fisco. Se l’operazione restasse un caso isolato, però, saremmo di fronte solo all’ennesima sanatoria. Invece, sistemare il pregresso è la condizione necessaria, ma non sufficiente, per provare a razionalizzazione il nostro sistema di riscossione. Da non sprecare, altrimenti tra non molto saremo nella situazione di partenza.
L’obiettivo del governo era incassare 7,2 miliardi. Dalle prime 502 mila domande di “rottamazione” dovrebbero arrivare 8,3 miliardi lordi, da cui, al netto di quanto dovuto per sanzioni e interessi, lo Stato dovrebbe percepire 5,5 miliardi. Ci sono, poi, ancora 100 mila domande da analizzare e oltre 17 mila che arrivano ogni giorno grazie all’intelligente proroga concessa. Ma è solo un primo passo. Infatti, sono ben 21 milioni gli italiani in debito con Equitalia, anche se il 53% lo è per meno di mille euro. Segno che più che un “popolo di evasori”, siamo un popolo che ha difficoltà a rapportarsi con il fisco (o viceversa). E che il fisco non aiuta. Tanto più che l’86% di chi ha aderito alla sanatoria è una persona fisica e solo il 13,6% è una società. Comunque, siamo di fronte ad un’operazione estemporanea, perché le regole resteranno immutate, e parziale, perché Equitalia ha in pancia 817 miliardi di crediti non riscossi, di cui solo 51,9 miliardi realmente “aggredibili”. Pertanto, è inutile sostenere che la tanto evocata “lotta all’evasione” sia la strada per abbassare le tasse.
Ora, la pressione fiscale nominale al 42,9% è eccessiva, le imprese (al 64,8%) pagano 25 punti in più delle omologhe europee e il cuneo fiscale (al 49%) è 10 punti sopra la media continentale. Ed è vero che la nostra spesa pubblica andrebbe corretta in qualità e quantità, e che spesso il suo (maldestro) uso induce alla rabbia i contribuenti. Ma, come testimonia la Corte dei Conti, per gli adempimenti tributari in Italia serve il 55% di ore lavorate in più rispetto ai concorrenti europei. Secondo Confindustria questi obblighi pesano per il 4% del bilancio e solo un folle preferisce avere 10 diversi adempimenti per pagare 100 euro – come in Italia – invece che uno, semplice e chiaro. Ma questo è quello che succede. Le norme cambiano di continuo, si stratificano, si intrecciano, diventando astruse anche per gli addetti ai lavori, per poi essere applicate con ottusità burocratico-ideologica, invertendo l’onere della prova per cui è il cittadino che deve provare la sua onestà. Anche perchè ai dirigenti dell’Agenzia delle Entrate è concesso un premio per ogni accertamento, e grazie alle regole e regolette, si cerca finché non si trova qualcosa, e pazienza se poi molti contenziosi si rivelano infondati.
Una politica di solo rigore non serve. Anzi, è controproducente. Quello che serve è una riforma complessiva del fisco. Ci vorrà del tempo e sarà difficile, ma è assolutamente necessaria. Inoltre, dal primo luglio, in sostituzione di Equitalia, della riscossione dovrebbe occuparsi l’Agenzia delle Entrate: perché non sia il gioco delle tre tavolette, bisogna procedere ad una strutturale revisione delle regole fiscali e del sistema di riscossione. Altrimenti anche questa rottamazione sarà solo una delle tante sanatorie. Senza che sia cambiato nulla. (twitter @ecisnetto)
L'EDITORIALE
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