Non svendere l'Italia agli stranieri
Aeroporti settore strategico, ci pentiremo della vendita di Save
di Enrico Cisnetto - 02 aprile 2017
Prima (s)vendi agli stranieri, poi ti penti. Ma è troppo tardi. E se accade in settori strategici, sono guai grossi. È successo con Borsa Italiana, e adesso si piange il fatto che Mts e Mot, i due mercati più importanti in Europa per la negoziazione di titoli di stato e bond, siano ormai fuori dal nostro controllo. Ora rischia di succedere con gli aeroporti. Con una giravolta, infatti, l’aeroporto di Venezia (con annessi Treviso e Verona) ha preso il volo per la Francia (proprio nelle stesse ore in cui Parigi nazionalizza i cantieri navali Stx per evitare che li prenda Fincantieri) e lascia a terra il Veneto. E, con esso, la possibilità di un maggiore coordinamento tra gli scali italiani, che restano troppi, scoordinati, e in molti casi inefficienti. Eppure, Edizione Holding dei Benetton, che attraverso Atlantia controlla Fiumicino, era pronta ad investire nel concessionario aeroportuale Save, offrendo al presidente e azionista di controllo Enrico Marchi la completa autonomia nella gestione degli scali veneti. Invece, Marchi ha scelto l’alleanza con i tedeschi di Detusche Bank e i francesi di Infravia, oltretutto con la prospettiva di scendere al 12%.
Questo dietrofront, forse motivato da “gelosia”, non penalizza solo l’italianità del terzo aeroporto internazionale italiano, che ha tassi di crescita doppi rispetto agli altri (+10,1% nel 2016) e discrete prospettive, ma l’organizzazione complessiva dei trasporti in Italia, e la loro efficienza. Nel nostro Paese, infatti, ci sono oggi 44 scali, di cui circa un terzo in mano a enti locali, ma lo scorso anno su 165 milioni di passeggeri il 95% (157 milioni) è transitato per i primi 20, mentre i restanti 24 si sono divisi otto milioni di utenti in totale, in media 400 mila ciascuno, poco più di 1000 al giorno (73 a Bolzano, 3 ad Albenga, poco più di uno a Taranto). E scali così piccoli, o comunque non strategici, significano bilanci costantemente in perdita e debiti che si accumulano (nel 2010 erano 3,4 miliardi). Inoltre, ovunque ci sono problemi: Perugia, Crotone, Grosseto, Olbia, Lamezia Terme, Catania, Brescia, Parma. E dove non ci sono non si riesce a gestire i problemi di crescita (Firenze-Pisa e Milano-Bergamo). Tutte situazioni che certificano la mancanza di una politica nazionale. Eppure, con i primi 5 hub (Fiumicino, Malpensa, Bergamo, Linate e Venezia) che da soli assorbono il 55% del traffico, la logica non può più essere quella della frammentazione.
Per questo il riassetto in salsa franco-tedesca di Save e dei suoi scali è un’occasione persa. Un eventuale ingresso dei Benetton, che avendo già il 22% di Save se dovesse uscire farebbe un mucchio di soldi ma vedrebbe mortificato il suo profilo di investitore strategico di lungo termine, sarebbe stato (sarebbe?) un passo per una maggiore sinergia dei trasporti in Italia, facilitando collegamenti intermodali con strade e ferrovie. Tra l’altro, gli omologhi “campioni” spagnoli di Abertis e francesi di Vinci stanno facendo shopping nel nostro Paese, approfittando della frammentazione e dell’assenza di contromisure. Con il rischio che i nostri aeroporti diventino succursali di hub altrui. Mentre, se nei prossimi vent’anni c’è da intercettare il previsto raddoppio del numero dei passeggeri, bisognerebbe cambiare subito rotta. (twitter @ecisnetto)
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.