Il modello Sud
Ci vogliono politiche che facilitino la vita degli imprenditori. Dentro e fuori le aziende. Al Sud come al Nord
di Enrico Cisnetto - 26 marzo 2017
Il Sud come modello. Non è né un ossimoro, né sarcasmo, ma una potenziale prospettiva di rilancio dell’industria di tutto il Paese. Perché, in fondo, la questione del Meridione è la stessa del Settentrione. Ed è una questione industriale. Quello che serve al Sud, serve anche al Nord, e viceversa. Soprattutto dopo la desertificazione industriale subita con la crisi iniziata nel 2008, in cui abbiamo perso il 25% della produzione industriale e il 20% della capacità manifatturiera. Il ministro De Vincenti ha annunciato che al centro del prossimo Def ci sarà il Meridione. Sarà un bene. Ed è qualcosa che il Settentrione non deve disprezzare, o averne paura, perche se non ci saranno nostalgie tipo Cassa del Mezzogiorno – ma nessuno del governo sembra nemmeno accennarne – si tratterà solo di declinare la stessa politica, pur con diverse differenziazioni territoriali.
Certo, al Sud i problemi si amplificano, con il tasso di occupazione al 46% contro il 68% del Nord, la metà degli investimenti e la metà del pil pro capite, tanto per fare un parallelo, della Campania rispetto alla Lombardia. E per questo sono corretti gli incentivi fiscali specifici (sgravi alle assunzioni, specie dei giovani, e credito di imposta), ma i problemi e le tendenze strutturali sono le medesime. Per esempio, nel 2016 l’export ha galoppato nel Meridione (+8,5%) in un contesto italiano che va bene da anni, mentre crolla nelle Isole (-15%), che hanno erroneamente puntato su idrocarburi, acciaio e alluminio. Insomma, come in tutto il Paese c’è un’avanguardia di campioni (tra coloro che esportano), una minoranza in grave difficoltà e poi una grande zona grigia intermedia di chi sta in piedi ma a fatica.
Un trend brillantemente analizzato dal “Sesto Rapporto sulle Imprese Industriali del Mezzogiorno” della Fondazione Ugo La Malfa. Le medie imprese del Sud, infatti, hanno una redditività per impianto (10,1%) migliore delle omologhe del Nord, un costo del lavoro del 10% inferiore e un fatturato medio per dipendente sostanzialmente uguale. Ma queste imprese tra 50 e 500 addetti nel Sud sono solo 263 (principalmente Campania, Puglia e Abruzzo) su un totale di 3.330. Sono cioè il 7,8% e occupano circa 100 mila persone, lo 0,5% della popolazione. Troppo poco, anche perché le altre producono risultati inferiori alla media nazionale e certamente non soddisfacenti.
Ma, se gli incentivi fiscali esistono e il costo del lavoro è più basso, perché questo gap? Si potrebbe rispondere con un’altra domanda: se al Nord, come in tutta Italia, la liquidità non manca e i costi di finanziamento del capitale non sono mai stati così bassi, perchè latitano gli investimenti? Quello che manca – anche se con il piano “Industria 4.0” il Governo ci sta provando – è la scelta di campo di una politica che si assuma la responsabilità di affrontare e guidare la selezione darwiniana in atto, supportando la vocazione internazionale delle imprese, creare infrastrutture, snellire la burocrazia, garantire la sicurezza e il diritto (giustizia civile e penale). Ci avevano provato anche le Regioni con le Aree di Sviluppo Industriale (ASI), ma è stato un disastro, e ora per fortuna il ministro Calenda propone che lo Stato ne prenda il controllo.
Insomma, ci vogliono politiche che facilitino la vita degli imprenditori. Dentro e fuori le aziende. Al Sud come al Nord. Il resto sono chiacchiere. (twitter @ecisnetto)
L'EDITORIALE
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