Le colpe dell'ego
Con la sua strafottenza, l'ex premier ha creato il vuoto attorno a se
di Massimo Pittarello - 01 marzo 2017
Le occhiaie di Guerini lo spiegavano meglio di ogni parola. “Il problema è il fuso orario con la Silicon Valley” ha detto venerdì sera, stanco ed esasperato, ai membri della Direzione Pd che cercavano un accordo sulla data del 30 aprile per le primarie. Una lunga e sofferta trattativa che Renzi ha ‘omaggiato’ volando in California nel momento più delicato, in una trasferta con cui ha cercato di far pesare la sua assenza più della sua presenza.
“Voleva che i telegiornali sottolineassero che lui ha altro a cui pensare rispetto alle beghe interne del Pd. Poi, però – dice una navigata dirigente Pd, ora ministra – non faceva altro che telefonare a Boschi e Guerini”. Il vicesegretario è forse l’unico che porta la croce di Renzi. L’unico ammesso a negoziare, dialogante portavoce, l’unico che può parlare con gli altri per conto del capo. Ed anche l’unico, fuori e dentro il Pd, accettato come interlocutore, anche se a volte un po’ compatito per il difficile ruolo.
Perché non c’è avversario, amico, ministro o parlamentare che non si lamenti di quanto l’arroganza dell’ex Rottamatore sia stata anche la sua colpa più grande. Durante la direzione del Pd, per esempio, la principale difficoltà era coordinare il fuso orario di Roma con quello della Silicon Valley, controllare la connessione, coordinarsi con il ritardo tecnico delle comunicazioni. Ore ed ore ad aspettare una risposta da Oltreoceano, mentre scissionisti e dissidenti, si infastidivano ancora di più.
“Eravamo ininfluenti in Commissione” ha detto pubblicamente Francesco Boccia, ma quello che contava “era tenere unito il partito”. Lo stesso Boccia, il più convinto sostenitore di una tassa sui ricavi dei giganti del web, non critica Renzi per il suo viaggio proprio a Mountain View, tra i colossi “esentasse” di internet, ma per il comportamento troppe volte superficiale. Insomma, più che per i contenuti, per l’immagine che il quarantenne di Rignano lascia ovunque si trovi a passare.
Con i ‘vecchi della Ditta’ prima, con i grillini e i berlusconiani poi, verso Alfano, Marino, D’Alema e “Fassina chi?”, come anche nelle decisioni prese lontane del proscenio, verso gli insegnanti, i diplomatici, i funzionari legislativi, i governi e le burocrazie europee, non c’è una sola persona che non si lamenti dell’atteggiamento, strafottente, presuntuoso ed egotico del’ex premier.
Tanti i paragoni tra Renzi e Berlusconi: brillantezza mediatica, presenza scenica, capacità di vincere le elezioni, disintermediazione. Ma c’è anche una profonda differenza: l’ex Cavaliere cercava di non scontentare mai nessuno, di farsi amare, perché voleva piacere a tutti. Renzi, invece, sembra adorare con tratti perfino sadici l’umiliazione dell’altro. “L’inconscio vendicativo del boy-scout” l’ha definito un amico, scissionista e lacaniano.
In fondo, è un peccato. Ognuno a suo modo, anche se per poco, solo per un dettaglio, ci aveva creduto. Magari non nel progetto complessivo, ma anche la semplice idea che a questo Paese venisse data una scossa, in fondo, suscitava simpatie diffuse. E, invece, a forza di giocare ogni partita politica come una mano di poker al buio, di approvare solo il titolo dei decreti, di creare hashtag di #matteorisponde, oltretutto nella cieca convinzione di vincere sempre, lo ha reso ostile a tutti.
Ora, archiviata la possibilità di riforme istituzionali di grande respiro, ora che si sta chiudendo la “finestra di opportunità” offerta dalla congiuntura internazionale, evaporata ogni speranza di Costituente, ci aspettano mesi di distinguo e posizionamenti parlamentari che renderanno il governo Gentiloni privo di una vera e propria maggioranza.
Ecco, speriamo che, almeno in California, anche grazie all’inglese studiato alla Shenker, Renzi abbia lasciato un buon ricordo. Fuso orario o meno, si può sempre ripartire, a patto di imparare dagli errori.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
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