La manovra degli spot
Entra in vigore la manovra di Renzi: tanti annunci e pochi investimenti
di Enrico Cisnetto - 08 gennaio 2017
Da pochi giorni è in vigore la legge di bilancio 2017, approvata con la fiducia a conclusione di mille giorni in cui il passato governo è riuscito a rianimare ma non a rilanciare l’economia. Purtroppo, al netto della narrazione renziana, si è continuato ad adottare tante, troppe micro misure settoriali senza nessun grande progetto o investimento, nessuno di quei colpi di reni di cui, dopo 8 anni di crisi e 15 di ininterrotto declino, avremmo un disperato bisogno. Se il governo Letta era quello della “politica del cacciavite”, senza le slide, la politica economica di Renzi si è differenziata solo per lo storytelling. Tanto che anche i circa 15 miliardi utilizzati nel mercato del lavoro per incentivare le assunzioni, non essendo strutturali, sono serviti più a legittimare la pur sensata battaglia politica del Jobs Act che a rilanciare stabilmente l’occupazione. Lo stesso di quanto è accaduto per il bonus da 80 euro: 10 miliardi che non hanno aiutato le ripresa dei consumi, ma solo (e per poco) il consenso elettorale.
Quanto l’errore non sia stato capito, si evince anche dall’ultimo atto dell’esecutivo Renzi: la manovra finanziaria. Sia chiaro, le leggi di bilancio sono sempre state cariche di micro provvedimenti, ma gli annunci avevano fatto pensare a qualcosa di “diverso”. E invece, tra le misure “generali” troviamo quelle dirette agli immobili (estensione al 2021 della detrazione al 50% per le ristrutturazioni edilizie, al 65% per l’ecobonus, dal 50% all’80% per interventi di adeguamento sismico), alle imprese (Ires dal 27% al 24% estensione al 2017 del superammoramento al 140%, introduzione dell’iperammoramento al 250% per gli investimenti effettuati in Industria 4.0, incentivi alle start-up) e quasi 10 miliardi fino al 2026 da ripartire tra i finanziamenti agli enti locali. E se queste sono quelle “generali”. Poi ci sono quelle “particolari”: credito d’imposta al 65% per le strutture turistiche che investono in immobili, la quattordicesima per i pensionati fino ai 1000 euro, l’estensione della no tax area anche per gli under 75 con reddito fino a 15 mila euro, l’aumento del 30% per le pensioni “medie”. Per i prossimi anni vengono poi stanziati 680 milioni a vario titolo per la scuola e l’università, 1,3 miliardi per le famiglie e il sostengo alla natalità, oltre a quasi 8 miliardi entro il 2019 per il pubblico impiego. Senza dimenticare le “mance” vere e proprie: 380 milioni da dividere tra Coppa del Mondo di Sci, fondo per le rievocazioni storiche, invalidi di guerra, Centro di meteorologia, associazioni combattentistiche, Istituto di Genetica Molecolare, fondazioni lirico-sinfoniche, stampa italiana all’estero, linea ferroviaria Ferrandina Matera, lavoratori socialmente utili della Calabria, società sportive dilettantistiche, giovani del basket, gli italiani nel mondo e quant’altro.
Ora, alcune misure possono essere corrette e altre meno, ma è evidente che siamo di fronte a provvedimenti estemporanei e settoriali, privi di una strategia complessiva, di una idea di futuro. Invece, quello che gli italiani chiedono è proprio un’inversione di marcia, un cambio di passo strutturale. Adesso, il governo Gentiloni ha margini di manovra più che stretti, ma può almeno spegnere la radio degli annunci (mi pare che ci siamo) e avviare su altra strada la prossima manovra di bilancio. (twitter @ecisnetto)
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
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