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Il caso "Capitale"

Racconti romani

Un primo, tragico tentativo di bilancio romano

di Giorgio Cavagnaro - 10 settembre 2016

 Mi pare evidente che il M5S, assurto al potere a Roma, avesse largamente capito (fin dal momento della scelta di Raggi candidata) che per non fare una fulminante figura caprina avrebbe dovuto impiegare, in un modo o nell’altro e senza dare nell’occhio, massicce forze ben introdotte nel verminaio che tutti chiamano "mafia capitale". Ma che, disgraziatamente, è di fatto il brodo di coltura del potere romano da decenni . L’Ama, l’Atac, la discarica di Malagrotta, la gestione degli immigrati e dei Rom. I Casamonica e le gang criminali che spadroneggiano in lungo e in largo su centro, periferia e litorale. Mettici la totale assenza di risorse economiche, dovuta anch’essa a gestioni demenziali della potenzialità della città più bella del mondo, e il quadro è chiaro.

Grillo e i suoi devono aver pensato: qua la situazione è assai ingarbugliata (ma non sapevano quanto), meglio mettere in campo gente che ha utili legami con le passate gestioni. E siccome le cose o le fai per bene o meglio non farle, hanno scelto i legami che affondano radici nella destra maneggiona. Quella che aveva davvero spianato la strada a una corruzione totale, sfrenata al punto di travolgere, come un torrente inarrestabile, anche larghe fasce della sinistra, formando un sottobosco delinquenziale compatto.

Ed ecco Virginia Raggi, volto angelico e rapporti stretti con gli studi Previti (basta la parola) e Sammarco, cavallino di Troia facilmente manovrabile, ideale testa di ponte per la selezione di assessori ben introdotti nei settori che contano. Per esempio Paola Muraro, donna-chiave in quanto superconsulente in grado di riallacciare utilmente i rapporti col vero re di Roma, quel Cerroni boss delle discariche e della “monnezza”.

Intanto parte la furia cieca degli assessori talebani. L’imperativo, costringere alle dimissioni i responsabili delle società partecipate che avessero avuto la fiducia del governo nazionale: via Marco Rettighieri, direttore generale da sei mesi e impegnato con buoni risultati nell’improba battaglia del risanamento Atac.. Via Daniele Fortini, presidente Ama, reo di aver dichiarato che o si costruisce un sistema di tritovagliatori efficiente (ma contrario alla filosofia grillina) o si riapre la discarica di Malagrotta. Risultato, sostituzione col commercialista milanese Solidoro. Il quale, sommerso dai rifiuti, tenta la carta della grande pulizia di ferragosto: cassonetti finalmente vuoti grazie a un robusto e costosissimo invio verso il nord, dove i tritovagliatori ci sono, ma non si deve sapere.

Solidoro resiste poche settimane e poi si dimette.

E’ l’inizio di una frenetica commedia degli errori, una sceneggiatura che nemmeno Billy Wilder o Mel Brooks avrebbero saputo concepire. Il superassessore al Bilancio, Marcello Minenna, si dimette. Le porte si aprono e si chiudono con effetto comico irresistibile: nel giro di due o tre giorni al malcapitato Raffaele De Dominicis, ultimo prestigioso candidato all’assessorato maledetto, non ancora insediato, viene comunicato che no, c’è stato un errore e non ha “i requisiti” per cotanta Giunta. Come d’altronde il capo Gabinetto, la costosissima e già dimissionaria Carla Raineri (non) arrivata a tappare i buco già lasciato da Daniela Morgante.

La furia cieca non si arresta davanti a nulla: Stadio di calcio, Olimpiadi, metropolitane, nulla deve essere fatto a Roma. Non un solo tombino viene bonificato, non una sola strada dissestata viene ripianata, e chi

 

tenta di far ragionare i Direttorii a cinque stelle (che nel frattempo hanno iniziato a scannarsi tra loro) è tacciato dell’accusa più infamante: fare politica, cioè mediare tentando di risolvere i problemi reali dei “cittadini”.

Dice la leggenda che, quando i troiani portarono nella città il celebre, gigantesco cavallo di legno, Laocoonte tentò di smascherare l’inganno dei greci. Finì che gli Dei gli scatenarono contro due enormi serpenti marini che stritolarono lui e i suoi figli. Ricorda qualcosa?

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