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Calano le esportazioni

Ripartire dall'export

Export àncora di salvezza per l'Italia ma bisogna puntare sulle eccellenze 

di Enrico Cisnetto - 04 settembre 2016

Chi ci ha portato fuori dalla recessione? L’export. Chi ci ha fatto tornare alla crescita zero? L’export. Chi rischia di rimettere il segno meno al pil? L’export. Durante la Grande Crisi abbiamo perso 10 punti di ricchezza nazionale, mentre le nostre esportazioni sono cresciute di altrettanto. E con 414 miliardi di fatturato, quasi un quarto della nostra ricchezza complessiva, la domanda estera rimane la principale (l’unica?) locomotiva del Paese. Quella che ha rallentato la decrescita e ha riavviato la crescita. Ma da un po’ di tempo non tira più come prima: per il 2016 le esportazioni dovrebbero crescere del 3,2%, meno del 3,8% dello scorso anno e poco più della metà del 5,4% degli anni precedenti. E senza quel traino forte, per noi c’è stagnazione o, peggio, ritorno alla recessione.

 

Gli ottimisti a cottimo dicono: colpa del mondo che sta rallentando. E’ vero, l’anno scorso la crescita globale è stata del 3,1% e quest’anno difficilmente supererà il 3%, due punti sotto la media 2004-2008 (4,9%), e un punto e mezzo sotto quella del 2010-2014. I Brics, poi, hanno frenato bruscamente, con la Cina che per la prima volta è sotto il 7%, e con Russia e Brasile in recessione (rispettivamente -3,7% e -3,8%). Tuttavia, gli Stati Uniti viaggiano spediti, con il +2,4% ottenuto nel 2015 che dovrebbe ripetersi anche nel prossimo biennio. Inoltre, il commercio internazionale ha comunque il segno positivo (+3% previsto nel 2016). E a far da contraltare alla decelerazione dei principali mercati extracontinentali di sbocco dei nostri prodotti, c’è il sensibile deprezzamento dell’euro (passato in due anni da 1,31 a 1,11 sul dollaro), che ovviamente ci avvantaggia. Ma che non sia (solo) la congiuntura mondiale colpevole, lo dimostra l’andamento della quota di mercato dell’Italia in percentuale sull’export mondiale, che tristemente scende dal 3,9% del 2003, al 3,6% del 2007, fino al 2,8% del 2015. Quota che certo non aumenterà nel 2016.

 

Insomma, se abbiamo perso un quarto di quota di mercato del commercio mondiale, la spiegazione va cercata altrove. E precisamente nel nostro capitalismo. Nel numero delle aziende esportatrici sul totale, e nella qualità e quantità di prodotti e servizi esportati. Non è un caso che il fatturato estero, in capo ad oltre 200 mila imprese (circa il 5% del totale), è realizzato per oltre la metà da meno di un migliaio di aziende che superano i 50 milioni. Come dice uno studio di Banca Intesa, a trainare sono solo alcune medie imprese che, a parità di volumi, riescono a vendere i propri prodotti ad un valore maggiore perché hanno riqualificato l’offerta, puntando su una specializzazione produttiva in grado di soddisfare la domanda. È il caso della meccanica strumentale, che copre il 5% del commercio mondiale, quasi doppiando con i suoi 80 miliardi di fatturato annuo il tanto decantato export agroalimentare, che si ferma a 35 miliardi.

 

Allora, è necessario puntare sulle eccellenze. Come? Bene l’immaginifica idea di “Industria 4.0”, ma non dimentichiamoci che sul tavolo ci sono i soliti e perenni problemi italici: assenza di capitali, dimensioni aziendali inadeguate, totale assenza di un’effettiva selezione delle imprese capaci di competere negli agguerriti mercati internazionali. Non possiamo lasciare che l’export si fermi. Anzi. (twitter @ecisnetto)

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.