Il paradosso della liquidità illimitata
Dal denaro facile al denaro senza valore
di Enrico Cisnetto - 21 agosto 2016
Qualcuno lo chiama il “mistero della liquidità”. Io preferisco parlare di “effetto pendolo”. Sta di fatto che la politica del “quantitative easing”, cioè della liquidità illimitata immessa sui mercati dalle maggiori banche centrali del mondo, dopo aver reso un gran servigio all’economia nella fase di uscita dalla Grande Recessione per aver combattuto e sconfitto il credit crunch, cioè la mancanza di liquidità che stava soffocando il sistema creditizio e con esso le imprese, ora sta, al contrario, facendo danno. O meglio, a farlo sono i tassi a zero o addirittura negativi, che del QE sono la conseguenza. È paradossale, perché il costo del denaro praticamente azzerato dovrebbe spingere gli investimenti produttivi e i consumi, rilanciare alla grande il mercato immobiliare, favorire le azioni rispetto alle obbligazioni e quindi sostenere le Borse, riavviare il fuoco inflazionistico a scapito della deflazione, e invece succede tutto il contrario. L’economia reale soffre di consumi piatti e di investimenti che, è il caso dell’Italia, sono tornati ai livelli di 20 anni fa (dal 2007 sono crollati del 30%, -110 miliardi). Mentre l’economia finanziaria punisce il risparmio a favore delle attività più speculative (il valore nominale dei derivati è arrivato a 550mila miliardi di dollari, otto volte il pil mondiale, e la sola Deutsche Bank se ne ritrova circa 42 mila miliardi, 15 volte il Pil tedesco). È così che nel mondo ci sono bond a tassi negativi per un valore di 12 mila miliardi di dollari e altri 40 mila miliardi di risparmio non sono remunerati (tasso zero). Questa situazione incide fortemente anche sui rendimenti dei portafogli dei fondi d’investimento ma soprattutto dei fondi previdenziali, che sono tra l’incudine di non riuscire a pagare le pensioni e il martello di dover aumentare il profilo di rischio dei propri portafogli. Così come incide sul sistema bancario, che si ritrova con pochi e mal remunerati impieghi e con investimenti obbligazionari (è il caso degli istituti italiani pieni di Btp) che non rendono niente. E infatti profitti delle banche sono crollati, e questo proprio quando le autorità di controllo (Bce in primis) le vogliono più patrimonializzate.
Ora tutto questo può anche avere effetti collaterali benefici, perché costringerà le banche a superare il loro vecchio e costoso modello di business (troppi sportelli, troppi dipendenti) per andare alla ricerca di nuove formule (per esempio l’on-line, il successo di Widiba dimostra che anche una banca in affanno come Mps può avere ottime chance) che ne aumentino la reddittività. Ma non c’è dubbio che nel breve l’effetto dei tassi a zero è pesante, perché non genera più i frutti positivi del “denaro facile” e invece produce quelli avvelenati del “denaro senza valore”.
Bisogna prendere atto che il pendolo è arrivato al vertice opposto di dov’era quando la politica monetaria – ripeto: per fortuna – ha messo in moto le contromisure rispetto alla mancanza di liquidità. Non si tratta, naturalmente, di tornare indietro, ma di trovare i necessari aggiustamenti. Il forum annuale promosso dalla Bce c’è già stato (in giugno a Sintra), ma quello americano di Jackson Hole ancora no. E domani c’è il summit europeo a Ventotene. Insomma, invece di fare vertici inutili, si discuta a livello planetario del “dopo QE” con coraggio e lungimiranza. È venuto il momento. (twitter @ecisnetto)
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
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