La crescita si è fermata
L'economia frena, servono 18 miliardi per non far saltare i conti
di Enrico Cisnetto - 16 agosto 2016
Come ampiamente previsto e prevedibile, tranne per chi non vuol guardare, la crescita è tornata a zero (nel secondo trimestre), e l’inflazione ha preso il segno meno diventando deflazione. Il combinato disposto delle due cose è micidiale ed ha un solo nome: crisi economica. E nonostante tutti gli sforzi per parlar d’altro, sarà questa a tener banco alla ripresa dopo la pausa di Ferragosto. Anche per via dei conti (pubblici) che non tornano, tanto che rischia di naufragare prima ancora di prendere forma la nuova legge di Stabilità, e con essa la garanzia che non ci sarà alcuna manovra di aggiustamento. Ma, considerato che ancora ad inizio anno il governo contava di arrivare ad un aumento del pil dell’1,6%, poi ridotto a 1,2% nel Def di aprile, ora come si spiega che si debba mettere in conto di chiudere l’anno – se va bene, cioè se non si passa dalla stagnazione alla recessione – con un misero +0,6%, oltretutto unicamente per effetto della politica monetaria della Bce?
La verità è che consumi e investimenti non crescono. Per esempio, rispetto al 2015, nei primi cinque mesi dell’anno le vendite al dettaglio segnano un +0,3% in valore, ma un -0,2% in volume. Dato ancor più preoccupante se si considera che fino a marzo si registrava +0,7% su entrambi i fronti. Stessa musica per la produzione industriale: la media dei primi cinque mesi dell’anno segna +1,3%, ma a maggio si registra un calo di 6 decimi sia congiunturale che tendenziale. E su base mensile calano anche i fatturati (-1,1%) e gli ordinativi delle imprese (-2,8%). Inoltre, i dati di Confindustria per luglio dicono un misero +0,2% su giugno e +0,1% su luglio 2015, con un contestuale calo degli ordini in volume (-0,5% sul mese precedente e -3,7% su luglio dell’anno scorso). E che non ci sia stata primavera economica lo testimonia il progressivo calo della “fiducia”: l’indice, dopo aver raggiunto un valore massimo a gennaio (118,9), a luglio è tornato a 111,3, mangiandosi buona parte dei progressi del 2015.
In questo contesto, non stupisce che il viceministro Enrico Morando, persona seria, abbia detto che il deficit per il 2017 sarà superiore all’1,8% promesso e abbia ammesso che non c’è spazio per riduzioni dell’Irpef che Renzi vuole, avendo in testa di negoziare con la Commissione Ue un ulteriore concessione di flessibilità. Il fatto è che dall’andamento del fabbisogno statale emerge un buco di oltre 5,8 miliardi nei primi 6 mesi, rispetto al 2015, quando le previsioni scontavano un suo contenimento. E così le maggiori entrate fiscali – oltre 11 miliardi nel semestre, contro una previsione Def di meno di 2,5 su base annua, segno che al di là degli slogan la spremitura continua – sono già belle che mangiate. Renzi dovrà dunque trovare almeno 18 miliardi per evitare che scattino le clausole Ue di salvaguardia (9,4 miliardi tra aumento dell’IVA al 25,5% e accise sulla benzina) e per finanziare le promesse fatte, dal dossier pensionistico (l’anticipo con l’Ape, aumento della no tax area e la 14ma per le minime), che costa almeno 2,5 miliardi, al taglio dal 27,5 al 24% il livello dell’Ires (3 miliardi), fino alla conferma della decontribuzione sulle nuove assunzioni e il premio sulla contrattazione di secondo livello (3 miliardi). Senza contare quella riduzione dell’Irpef (6-7 miliardi) che Morando ha già bocciato. A meno di non portare il deficit appena sotto il 3%. Buon Ferragosto, se potete. (twitter @ecisnetto)
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
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