Sfuma la divisione dei poteri
Il delirante dibattito sulla cannabis oscura la "fusione" tra esecutivo e legislativo
di Massimo Pittarello - 02 agosto 2016
Il disegno di legge sulla cannabis, molto probabilmente, andrà in fumo. Ma non per i deliri, le allucinazioni, i sottomarini gialli che si sono visti nel breve (ma intenso…) dibattito parlamentare, quanto perché la divisione tra il potere esecutivo e quello legislativo è ormai del tutto “sfumata”.
A differenza di quanto prescrive la forma costituzionale, infatti, sia per la percezione dell’opinione pubblica che per la sostanza dei rapporti istituzionali, Parlamento e Governo sono ormai talmente “fusi”, i loro rapporti sono di tale dipendenza e commistione, che rappresentano ormai una “joint” venture.
Quindi, l’eventuale approvazione della legge sulla cannabis, per quanto di iniziativa parlamentare e senza nessun interferenza dell’esecutivo, verrebbe comunque attribuita dagli italiani a Matteo Renzi.
E la vicenda delle unioni civili ci ha detto che nemmeno provvedimenti “liberal” permettono al premier di recuperare voti a sinistra. Poi, l’appoggio dei centristi è troppo instabile per forzare la mano un’altra volta.
Quindi, sul tema della legalizzazione Palazzo Chigi si astiene, lasciando al futile e fantasioso dibattito dell’aula un argomento che, di fatto, non potrà avere sviluppo, perché il legislativo non legifera se l’esecutivo non vuole.
A poco, quindi, servono le appassionate (e visionarie) arringhe dei contrari alla proposta per la “Cannabis Legale” presentata dall’ex radicale Della Vedova. Non serve la paura della ministra Lorenzin che, girando a piedi per Roma (no, la paura non è camminare nella Capitale, che pure…), vede “la droga che torna”. Si vede che avrà fatto “buon viaggio”, la droga, non la ministra.
Comunque, Lorenzin “vede la gente farsi le canne tranquillamente”, come se uno si dovesse agitare fumando skunk. Ma quello dei cannabioidi è da tempo un consumo di massa, come spiegano sempre i radicali: informate la ministra della Salute.
Non cambierà il destino della legge nemmeno il discorso che la fervente cattolica Binetti ha tenuto per circa 30 minuti di fronte ad un’aula semivuota. Per lei “le droghe sono la colonna sonora dei movimenti ribelli”, come se facesse bene mixare in unico calderone canne, eroina, lexotan e ghiandola pineale.
Per la deputata ex Pd legalizzare la cannabis equivale a sdoganare i “coca party”. Non è una frase frutto di un’allucinazione, che ne possiate pensare. Binetti è in grado di fare queste connessioni mentali anche senza usare Lsd, visto che per lei pedofilia e omosessualità sono strettamente collegate.
Insomma, durante il dibattito il fronte conservatore ha demonizzato una sostanza usata da milioni di persone senza usare nemmeno un’argomentazione sensata. Eppure, sarebbe bastato chiedere aDavide Giacalone di spiegargli la questione in 8 punti.
Ma tanto non ne avevano mica bisogno. I “ragionamenti” in Parlamento non servono a valutare la “sostanza” (delle cose, non la droga), ma solo a cercare visibilità.
Restano le dichiarazioni sulle agenzie, i video su YouTube e un po’ diostruzionismo, come dimostrano i 1300 emendamenti presentati al ddl. Ma, considerando che la legge deve essere votata articolo per articolo e che al Senato i numeri ballano ora più di prima, non c’è nemmeno bisogno azioni stupefacenti.
Eppure, queste sono le uniche cose da fare rimaste, poiché le decisioni si prendono sempre altrove.
Il legislativo, su questo come su altro, non è più il potere che fa le leggi, ma solo il contraltare dell’esecutivo, almeno in Italia. Non c’è provvedimento che passi se il governo non vuole. Quindi, state tranquilli – anche senza fumare, alla faccia di Lorenzin – difficilmente la legge verrà “passata”.
Anche se meno tranquilli devono stare quelli che usano la cannabis a scopo terapeutico.
Gente come Fabrizio Pellegrini, pianista di 47 anni, malato di fibromialgia, recluso nel carcere di Chieti da oltre un mese per aver coltivato alcune piante di cannabis per curarsi.
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