Energia per l'Europa
Il prossimo banco di prova per l'Europa è l'unione energetica, occasione per la Scozia
di Enrico Cisnetto - 17 luglio 2016
L’Europa è a un bivio: da una parte maggiore integrazione, dall’altra totale disintegrazione. E un passo effettivamente realizzabile, se si sceglie la prima strada, è l’unione energetica europea, attraverso il necessario passaggio di una specifica Maastricht. Senza però perseverare diabolicamente negli esiziali errori già commessi con l’unione bancaria, dove ora si tenta tardivamente di correre ai ripari correggendo le norme su stress test, salvataggi bancari e aiuti di Stato. Non fosse altro perché se si dovesse replicare il disastro bancario anche in campo energetico, per esempio, lo scontro tra Italia e Germania sulle banche potrebbe ripetersi in modo assai più virulento tra i gasdotti North e South Stream. I vari Stati membri, poi, continuerebbero ad essere singolarmente dipendenti da fornitori esteri, intrattenendo relazioni divergenti con paesi come Russia, Libia o Egitto. Così, l’Europa perderebbe potere negoziale, si acuirebbero le differenze interne, mentre si allontanerebbe ogni speranza di una politica estera comune. Ma non solo, perché il tema energetico è aggravato anche dalla Brexit, visto che la Gran Bretagna nel Continente è il terzo consumatore e il primo produttore di idrocarburi. Le trattative “tecniche” dei prossimi mesi per l’uscita, allora, conferiranno a Londra un ruolo cruciale su temi come il raggiungimento degli obiettivi europei su clima ed energia al 2030, il futuro dell’Emission Trading System, l’efficienza energetica o nuove regole sulle rinnovabili. Se, da una parte, l’ostilità britannica potrebbe bloccare le trattative, dall’altra l’Ue potrebbe finalmente parlare con voce unica e “punire” il leave di Londra. Infatti, c’è la possibilità che la Scozia, che pesa per il 78% della produzione di idrocarburi del Regno Unito, possa smentire la Brexit e tornare all’ovile europeo. Per far questo, però, l’Ue deve offrire a Edimburgo i vantaggi di un mercato unico dell’energia che funziona.
Su questo piano, come ha ben detto l’amministratore delegato di Enel, Francesco Starace, non c’è da preoccuparsi tanto della Brexit, quanto dei negoziati successivi e, soprattutto, delle norme troppo eterogenee a livello continentale. In tema energetico, l’Europa in 15 anni ha agito su liberalizzazioni e privatizzazioni, ma non ha mai armonizzato le regole. Se i vari Stati sono squilibrati tra loro, invece le rinnovabili italiane, l’idroelettrico austriaco, il carbone tedesco, il nucleare francese, gli stessi idrocarburi scozzesi, formano a livello continentale un discreto mix, equilibrato e tecnologicamente integrato. Solo che, per attrarre la Scozia come per evitare conflitti figli degli interessi di bottega, serve avere l’unione energetica come obiettivo e la volontà per realizzarlo.
La base giuridica e politica c’è. Sono le proposte presentate da Bruxelles nel febbraio scorso per preparare la Ue alla transizione energetica, rafforzarne la sicurezza e l’autonomia, dando attuazione agli accordi Cop 21di Parigi: integrazione, trasparenza degli accordi intergovernativi e solidarietà obbligatoria in caso di crisi energetica. Da dove partire concretamente? Per esempio, unendo tutti i dispacciatori nazionali come Terna in unico soggetto europeo, come suggerisce Starace. Cosa non fare? Sottovalutare la questione, come avvenuto con le banche. Perché errare è umano, perseverare autem diabolicum (twitter @ecisnetto)
L'EDITORIALE
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