C'è un Pil insostituibile
Bes, Fil, Ipa, Isu. Alternative inapplicabili al calcolo convenzionale della ricchezza e dello sviluppo
di Massimo Pittarello - 06 luglio 2016
La riforma del bilancio che dal prossimo anno unificherà legge di Stabilità e di Bilancio ha anche l’ambizione di iniziare una “rivoluzione culturale” per andare oltre alla “dittatura del pil”, almeno per i deputati Pd.
Secondo la legge, che ha comunque il merito di semplificare e razionalizzare le regole contabili, ogni anno insieme al Def sarà misurato il “benessere equo e sostenibile”, il Bes, un indice elaborato alcuni anni fa da Istat e Cnel che include 12 elementi, tra cui alcuni come patrimonio culturale, salute, relazioni sociali, sicurezza e benessere soggettivo.
Dopo Rob Kennedy, per il quale il pil era “un indicatore grossolano che misura tutto, tranne quello che rende la vita degna di essere vissuta”, anche una delle tracce dell’ultima maturità l’ha messo in discussione. Da decenni provano a rottamarlo gente come Stiglitz, Amartya Sen e Paul Fitoussi con indici quali “la felicità interna lorda”; “l’indicatore di progresso autentico” o “l’indice di sviluppo umano”.
Ecco, ad essere il pil, ci sarebbe da essere offesi. Ma il pil non se la prende perché non ha morale ed è solo uno strumento e, come tale, assolutamente neutro. Per questo resta e rimarrà l’indicatore principe. Il suo più grande difetto, infatti, è anche il suo più grande pregio: prendere in considerazione solo i numeri.
Infatti, se è difficile misurare il “prodotto interno lordo”, pensate le emozioni. “Quanto è solidale il suo benessere? “E – scusi – lei si sente sicuro?”, “la notte chiude a tre mandate?”. E “le sue relazioni sociali come vanno? Esce molto la sera?”
Dentro al pil c’è di tutto, dalle medicine per malati terminali ai regali tra innamorati. Ma, pur imperfetto e omissivo, questo indice basato sui soli numeri permane lo strumento convenzionale più efficace, più utile per paragoni e più, quindi, affidabile.
Ora, è chiaro che il pil non dice tutto, ma già esistono indici come tasso di occupazione, percentuale di laureati, debito pubblico, che partono solo dai dati, e non dalle emozioni. Per esempio, in sede Onu dal 1992 vengono combinati per tutti i paesi del mondo la speranza di vita alla nascita, l’alfabetizzazione e il reddito di un Paese. Ma, questo mix non è ancora accettato universalmente.
Il pil, inoltre, non è immutabile, ma viene spesso modificato, come il paniere dei beni con cui si misura l’inflazione. Per esempio, nel 2015 nel calcolo sono state inserite alcune attività illegali, come droga o prostituzione.
Tutte le convenzioni, a cominciare dal linguaggio, richiedono aggiornamenti, tempo e correzioni per essere accettate. Ecco, allora, che pensare di usarne altre diventa davvero ambizioso.
Ovvio che a guardare il nostro pil inchiodato da anni sotto l’1% scenda la tristezza, ma in un mondo in cui povertà e fame sono ancora molto diffuse, il benessere materiale continua ad essere la prima esigenza di miliardi di persone. Ora, noi siamo in un paese avanzato in declino strutturale da 20 anni, ma non possiamo per questo alienarci dal mondo e pensare che, siccome il pil non ci regalerà più altre soddisfazioni, lo si possa sostituire.
Comunque, entro il 15 febbraio di ogni anno il Parlamento dovrà esprimersi
sul Bes. Cioè? “Scoprire che il livello di asili nido è aumentato o diminuito”, dice chi ha lavorato alla legge di riforma del bilancio. Una vera e propria rivoluzione culturale per cui era proprio necessario andare oltre il pil.
L'EDITORIALE
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