L'Europa della finanza
Eccesso di finanziarizzazione dell'economia e fuga di capitali italiani all'estero. L'Europa così muore
di Enrico Cisnetto - 26 giugno 2016
Evidentemente ci siamo persi qualcosa, perché nelle reazioni alla Brexit c’è stato troppo stupore ed eccessiva incredulità per un voto con due sole scelte e i sondaggi in bilico per mesi. Allora, più dell’uscita del (ex?) Regno Unito dall’Ue, è preoccupante che mercati finanziari e istituzioni si siano fatti trovare spiazzati e non abbiano saputo minimamente leggere la situazione. La sorpresa che ha colpito un po’ tutti è figlia, devo arguire, di una mancata percezione della realtà. Eppure, le espressioni della volontà popolare, specie se diffuse e ripetute nel tempo come lo sono certi voti anti-estabilshment degli ultimi anni, non sono affatto fenomeni improvvisi ed estemporanei, anzi.
Per esempio, l’eccessiva finanziarizzazione dell’economia provoca disincanto e rancore perché svincolata da ogni regola e con profitti che non hanno alcun legame con l’economia reale. E se la crisi del 2008 ha sconvolto il pianeta, le ferite non sono state curate. Per la Banca dei regolamenti internazionali (BRI), circolano oggi nel mondo titoli derivati per un valore di 700 mila miliardi di dollari, 44 volte il pil degli Stati Uniti e 10 volte il pil mondiale, una cifra del 20% più alta rispetto al record raggiunto prima del crack della Lehman Brothers. Cifra ancor più sconvolgente se si pensa che nel 1998 i derivati erano “solo” 2,63 volte il pil mondiale: questo significa che nel frattempo il pil è cresciuto del 142%, mentre i derivati del 784%. La sola Deutsche Bank è esposta per il 10% del totale (75 mila miliardi), più del pil di tutto il pianeta.
Allora, per quanto la politica monetaria espansiva di Fed prima e Bce poi abbia evitato il prolungamento della recessione, per quanto l’effetto annuncio del salvataggio della Grecia e le operazioni sugli altri Paesi “aiutati” dalle istituzioni internazionali abbiano curato qualche sintomo acuto, è evidente che i problemi strutturali che portarono alla grande crisi finanziaria mondiale sono ancora tutti sul tavolo. E voler ignorare questi dati provoca, da una parte, il risentimento dei cittadini contro le istituzioni che non riescono a imporre regole efficaci per la finanza e, dall’altra, il rischio che nuove bolle possano scoppiare in modo improvviso, virulento e repentino.
Allo stesso modo, come si fa a parlare di “ritorno di fiducia” nel nostro Pese quando il trend è, da almeno due anni, quello di una costante e crescente fuga di capitali? Secondo Bankitalia, infatti, gli investimenti degli italiani all’estero aumentano molto più velocemente dei saldi della bilancia commerciale. Se nel 2014 il saldo delle attività finanziarie era di 46 miliardi di euro, mentre i movimenti per merci, servizi e redditi pari a 31 miliardi, negli ultimi 12 mesi terminati ad aprile, le due voci segnavano rispettivamente 146 e 39,5 miliardi di euro. Insomma, una forbice che si divarica. Tra l’altro, nonostante gli ultimi dati abbiano incorporato le attività emerse con la volontary discolosure, la posizione patrimoniale netta sull’estero degli italiani a fine 2015 era negativa per 395,6 miliardi, il 24,2% del pil. Non poco.
Se il mondo sta ignorando il problema dell’eccessiva finanziarizzazione dell’economia, in Italia non ci stiamo accorgendo della fuga dei capitali, segno che, evidentemente, qui non c’è prospettiva, tranquillità o fiducia. E sono questioni pronte a finire dentro un’urna elettorale. (twitter @ecisnetto)
L'EDITORIALE
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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.